SCHEDA DEL FILM
Origine:
Italia/Jugoslavia
anno:1970
durata:
101
minuti
Genere:
guerra
Il
film si rifà alla decimazione subita dalla Brigata Catanzaro per
codardia, in occasione di un presunto episodio di sbandamento in
faccia al nemico accaduto durante l’azione sul Monte Mosciagh
(Altipiano di Asiago) il 26 maggio 1917. I tragici avvenimenti che
culminarono con la fucilazione di 12 militari furono la conseguenza
dello sbandamento in condizioni difficili di quasi tutta la 4a
compagnia del 141°. Il Col. Attilio Thermes, comandante del
reggimento, in ottemperanza alle disposizioni emanate dal Comando
Supremo, ordinò l’esecuzione sommaria senza processo per un
sottotenente, tre sergenti ed otto militari di truppa da estrarre a
sorte nella ragione di uno a dieci
Trama
Tratto
dal
libro
autobiografico
d’Emilio
Lussu
"Un
anno
sull'altipiano",
rievoca
le
vicende
di
un
giovane
ufficiale
italiano
durante
la
Grande
Guerra.
Altopiano
d’Asiago
1916:
i
soldati
del
generale
Leone,
dopo
aver
conquistato
una
cima
strategicamente
indispensabile,
nonostante
le
numerose
perdite,
ricevono
l'ordine
di
abbandonarla.
Poi
l'ordine
cambia
e
gli
uomini
devono
nuovamente
conquistare
la
vetta
a
costo
della
vita.
Soldati
italiani
e
austriaci
si
fronteggiano
nelle
opposte
trincee.
I
fanti
italiani
hanno
l'ordine
di
conquistare
delle
posizioni,
ma
i
continui
assalti
sono
respinti
e
si
risolvono
in
una
carneficina,
come
il
tentativo
di
conquistare
la
cima
di
un
pendio
posto
in
un
punto
strategico
difeso
da
mitragliatrici.
I
soldati
sono
coperti
da
ridicole
corazze
in
metallo,
ma
lo
stratagemma
si
rivela
inutile
e
la
maggior
parte
di
essi
o
muoiono
sotto
i
colpi
del
nemico
o
sotto
quelli
dei
propri
ufficiali,
perché
accusati
di
tradimento
di
fronte
al
rifiuto
dell’ordine
di
attaccare
il
nemico.
Stanchi
di
essere
mandati
allo
sbaraglio
danno
vita
ad
un
ammutinamento,
duramente
represso
con
le
leggi
di
guerra.
Viene
ordinata
la
decimazione
e
alcuni
"colpevoli"
scelti
a
sorte
sono
condannati
a
morte.
Una
sequenza
altamente
drammatica
mostra
le
fasi
dell'esecuzione:
i
disgraziati
vengono
legati
al
palo
per
essere
fucilati
mentre
un
cappellano
stravolto
tenta
inutilmente
di
confortarli.
A
poca
distanza
si
notano
le
bare
già
pronte.
I
momenti
drammatici
si
alternano
a
spunti
comico-grotteschi,
come
quando
l'odiato
generale
Leone,
comandante
del
reparto,
in
giro
d'ispezione,
viene
condotto
a
guardare
le
linee
nemiche
da
un
punto
d’osservazione
ottimo
ma
pericolosissimo
perché
è
tenuto
costantemente
sotto
tiro
dal
miglior
cecchino
austriaco.
Il
generale,
ignaro
del
rischio,
solleva
la
piastra
d'acciaio
che
nasconde
la
feritoia
e
guarda
a
lungo,
ma
non
succede
nulla.
Appena
si
allontana
i
soldati
imprecano
delusi
e
uno
di
essi
fa
la
prova:
apre
lo
spioncino
ed
espone
un
fuscello,
subito
tranciato
da
una
precisa
fucilata.
Terminata
la
fase
di
narrazione
in
trincea,
si
osserva
come
i
soldati
feriti
fossero
mandati
davanti
ad
un
tribunale
di
guerra,
per
dimostrare
se
le
proprie
ferite
erano
derivate
dalla
battaglia
o
se
si
erano
feriti
da
soli
per
evitare
il
combattimento.
Molti
di
essi
erano
giudicati
colpevoli
e
mandati
davanti
alla
corte
marziale
per
poi
finire
in
carcere.
Nel
film
si
osserva
come
la
guerra
fosse
un
fatto
di
classe:
dentro
la
stessa
trincea
c'erano
i
contadini
e
i
borghesi,
e
i
contadini
seguivano
le
vicende
della
guerra
come
se
fosse
una
calamità
naturale.
La
guerra
che
Lussu
descriveva
non
era
una
guerra
di
popolo,
era
una
guerra
con
delle
logiche
di
classe
molto
forti.
Il
generale
Leone
é
un
personaggio
che
crede
ciecamente
nel
potere
e
nel
fatto
di
rappresentarlo,
ed
in
questo
ha
una
sua
grandezza,
perché
è
come
costretto
ad
essere
coerente
in
fondo
con
la
sua
immagine.
Tutti
i
personaggi
finiscono
per
rappresentare
un
certo
livello
di
coscienza
politica:
il
socialista,
il
monarchico,
il
giovane
borghese
interventista.
LA
CRITICA
Lo
scenario
del
primo
conflitto
mondiale,
così
come
ci
è
consegnato
nella
pagina
diaristica
pacata
e
asciutta
d’Emilio
Lussu
(il
quale
scrisse
il
suo
diario
venti
anni
dopo
la
fine
della
guerra
nell'esilio
antifascista
parigino),
consentiva,
intanto,
a
Rosi
di
sottolineare
un'altra
volta,
e
in
questo
caso
con
il
massimo
d’evidenza
possibile,
la
differenza
esistente
fra
la
condizione
di
suddito
e
la
condizione
d’uomo
di
potere.
Di
rado,
quanto
nell'anno
sull'altopiano
(i
fatti
descritti
nel
libro
di
Lussu
e
ripresi,
per
sintesi,
da
Rosi
nel
film
vanno
dal
maggio
del
1916
all'estate
del
'17),
la
divisione
per
classi
nella
società
italiana
fu
tanto
netta,
tanto
evidente
il
formarsi
di
"una
nuova
mentalità
di
rivolta
e
d’insofferenza".
Francesco
Rosi
inoltre
insiste
sulla
spontanea
alleanza
che
durante
la
"Grande
Guerra"
si
formò
tra
soldati
che
spesso
non
sapevano
leggere
e
scrivere,
ed
ufficiali
("letterati"
sono
sia
il
tenente
Sassu
sia
il
tenente
Ottolenghi).
Ma
nel
complesso
Uomini
contro
procede
lungo
il
binario
delle
"scene
forti",
rinunciando
alle
osservazioni
minute
che
erano
uno
dei
punti
di
forza
del
libro
di
Lussu.
Tutto
questo
risulta
alla
fine
un
limite,
anche
rispetto
alla
scarsa
spettacolarità
del
finale
che
appare
sottotono
se
paragonato
al
resto
dell’opera.
I
personaggi
rappresentano
una
precisa
tipologia:
il
generale
Leone
e
il
maggiore
Malchiodi,
la
tronfia
vanagloria
intrisa
d’irresponsabilità
e
incompetenza,
il
sottotenente
socialista
Ottolenghi
la
consapevolezza
politica
della
natura
di
classe
del
conflitto,
che
si
risolve
in
massacro
di
poveri
e
sfruttati,
il
tenente
Sassu
(che
anche
nel
nome
adombra
lo
scrittore
Lussu)
la
bruciante
disillusione
di
tanti
interventisti
che
nel
sangue
e
nel
fango
delle
trincee
divennero
consapevoli
della
folle
inutilità
di
una
guerra
lontana
dagli
ideali
del
Risorgimento
nei
quali
credevano
(e
infatti
muore
in
camicia
bianca
come
un
anacronistico
eroe
ottocentesco),
la
truppa
la
vittima
sacrificale
del
demente
bellicismo
degli
alti
comandi,
estranea
alle
motivazioni
del
conflitto
e
sempre
più
indisponibile
a
farsi
ammazzare.
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