Messer Gentil de' Carisendi, venuto da Modona, trae della sepoltura una donna amata da lui, sepellita per morta, la quale riconfortata partorisce un figliuol maschio, e Messer Gentile lei e 'l figliuolo restituisce a Niccoluccio Caccianimico, marito di lei.
Maravigliosa cosa parve a tutti che alcuno del propio sangue fosse liberale; e veramente affermaron Natan aver quella del re di Spagna e dello abate di Clignì trapassata. Ma poi che assai e una cosa e altra detta ne fu, il re, verso Lauretta riguardando, le dimostrò che egli desiderava che ella dicesse; per la qual cosa Lauretta prestamente incominciò:
Giovani donne, magnifiche cose e belle sono state le raccontate, né mi pare che alcuna parte restata sia a noi che abbiamo a dire, per la qual novellando vagar possiamo, sì son tutte dall'altezza delle magnificenzie raccontate occupate, se noi ne' fatti d'amore già non mettessimo mano, li quali ad ogni materia prestano abbondantissima copia di ragionare; e per ciò, sì per questo e sì per quello a che la nostra età principalmente ci dee inducere, una magnificenzia da uno innamorato fatta mi piace di raccontarvi, la quale, ogni cosa considerata, non vi parrà per avventura minore che alcune delle mostrate, se quello è vero che i tesori si donino, le inimicizie si dimentichino, e pongasi la propia vita, l'onore e la fama, ch'è molto più, in mille pericoli, per potere la cosa amata possedere.
Fu adunque in Bologna, nobilissima città di Lombardia, un cavaliere per virtù e per nobiltà di sangue ragguardevole assai, il qual fu chiamato messer Gentil Carisendi, il qual giovane d'una gentil donna chiamata madonna Catalina, moglie d'un Niccoluccio Caccianimico, s'innamorò; e perché male dello amor della donna era, quasi disperatosene, podestà chiamato di Modona, v'andò. In questo tempo, non essendo Niccoluccio a Bologna, e la donna ad una sua possessione, forse tre miglia alla terra vicina, essendosi, per ciò che gravida era, andata a stare, avvenne che subitamente un fiero accidente la soprapprese, il quale fu tale e di tanta forza, che in lei spense ogni segno di vita, e per ciò eziandio da alcun medico morta giudicata fu; e per ciò che le sue più congiunte parenti dicevan sé avere avuto da lei non essere ancora di tanto tempo gravida, che perfetta potesse essere la creatura, senza altro impaccio darsi, quale ella era, in uno avello d'una chiesa ivi vicina dopo molto pianto la sepellirono.
La qual cosa subitamente da un suo amico fu significata a messer Gentile, il qual di ciò, ancora che della sua grazia fosse poverissimo, si dolfe molto, ultimamente seco dicendo: - Ecco, madonna Catalina, tu se' morta; io, mentre che vivesti, mai un solo sguardo da te aver non potei; per che, ora che difender non ti potrai, convien per certo che, così morta come tu se' io alcun bacio li tolga.
E questo detto, essendo già notte, dato ordine come la sua andata occulta fosse, con un suo famigliare montato a cavallo, senza ristare colà pervenne dove sepellita era la donna, e aperta la sepoltura, in quella diligentemente entrò, e postolesi a giacere allato, il suo viso a quello della donna accostò, e più volte con molte lagrime piagnendo il baciò. Ma, sì come noi veggiamo l'appetito degli uomini a niun termine star contento, ma sempre più avanti desiderare, e spezialmente quello degli amanti, avendo costui seco diliberato di più non starvi, disse: - Deh! perché non le tocco io, poi che io son qui, un poco il petto? Io non la debbo mai più toccare, né mai più la toccai.
Vinto adunque da questo appetito, le mise la mano in seno, e per alquanto spazio tenutalavi, gli parve sentire alcuna cosa battere il cuore a costei. Il quale, poi che ogni paura ebbe cacciata da sé, con più sentimento cercando, trovò costei per certo non esser morta, quantunque poca e debole estimasse la vita; per che soavemente quanto più potè, dal suo famigliare aiutato, del monimento la trasse, e davanti al caval messalasi, segretamente in casa sua la condusse in Bologna.
Era quivi la madre di lui, valorosa e savia donna, la qual, poscia che dal figliuolo ebbe distesamente ogni cosa udita, da pietà mossa, chetamente con grandissimi fuochi e con alcun bagno in costei rivocò la smarrita vita. La quale come rivenne, così la donna gittò un gran sospiro e disse: - Ohimè! ora ove sono io?
A cui la valente donna rispose: - Confortati, tu se' in buon luogo.
Costei, in sé tornata e dintorno guardandosi, non bene conoscendo dove ella fosse e veggendosi davanti messer Gentile, piena di maraviglia la madre di lui pregò che le dicesse in che guisa ella quivi venuta fosse; alla quale messer Gentile ordinatamente contò ogni cosa. Di che ella, dolendosi, dopo alquanto quelle grazie gli rendè che ella potè e appresso il pregò per quello amore il quale egli l'aveva già portato, e per cortesia di lui, che in casa sua ella da lui non ricevesse cosa che fosse meno che onor di lei e del suo marito, e come il dì venuto fosse, alla sua propria casa la lasciasse tornare.
Alla quale messer Gentile rispose: - Madonna, chente che il mio disiderio si sia stato ne' tempi passati, io non intendo al presente né mai per innanzi (poi che Iddio m'ha questa grazia conceduta che da morte a vita mi v'ha renduta, essendone cagione l'amore che io v'ho per addietro portato) di trattarvi né qui né altrove, se non come cara sorella; ma questo mio beneficio, operato in voi questa notte, merita alcun guiderdone; e per ciò io voglio che voi non mi neghiate una grazia la quale io vi domanderò.
Al quale la donna benignamente rispose sé essere apparecchiata, solo che ella potesse, e onesta fosse. Messer Gentile allora disse: - Madonna, ciascun vostro parente e ogni bolognese credono e hanno per certo voi esser morta, per che niuna persona è la quale più a casa v'aspetti; e per ciò io voglio di grazia da voi, che vi debbia piacere di dimorarvi tacitamente qui con mia madre infino a tanto che io da Modona torni, che sarà tosto. E la cagione per che io questo vi cheggio è per ciò che io intendo di voi, in presenzia de' migliori cittadini di questa terra, fare un caro e uno solenne dono al vostro marito.
La donna, conoscendosi al cavaliere obbligata, e che la domanda era onesta, quantunque molto disiderasse di rallegrare della sua vita i suoi parenti, si dispose a far quello che messer Gentile domandava; e così sopra la sua fede gli promise. E appena erano le parole della sua risposta finite, che ella sentì il tempo del partorire esser venuto; per che, teneramente dalla madre di messer Gentile aiutata, non molto stante partorì un bel figliuol maschio; la qual cosa in molti doppi moltiplicò la letizia di messer Gentile e di lei. Messer Gentile ordinò che le cose opportune tutte vi fossero, e che così fosse servita costei come se sua propia moglie fosse, e a Modona segretamente se ne tornò.
Quivi fornito il tempo del suo uficio e a Bologna dovendosene tornare, ordinò, quella mattina che in Bologna entrar doveva, di molti e gentili uomini di Bologna, tra' quali fu Niccoluccio Caccianimico, un grande e bel convito in casa sua; e tornato e ismontato e con lor trovatosi, avendo similmente la donna ritrovata più bella e più sana che mai, e il suo figlioletto star bene, con allegrezza incomparabile i suoi forestieri mise a tavola, e quegli fece di più vivande magnificamente servire.
Ed essendo già vicino alla sua fine il mangiare, avendo egli prima alla donna detto quello che di fare intendeva e con lei ordinato il modo che dovesse tenere, così cominciò a parlare: - Signori, io mi ricordo avere alcuna volta inteso in Persia essere, secondo il mio giudicio, una piacevole usanza, la quale è che, quando alcuno vuole sommamente onorare il suo amico, egli lo 'nvita a casa sua e quivi gli mostra quella cosa, o moglie o amica o figliuola o che che si sia, la quale egli ha più cara, affermando che, se egli potesse, così come questo gli mostra, molto più volentieri gli mosterria il cuor suo; la quale io intendo di volere osservare in Bologna.
Voi, la vostra mercé, avete onorato il mio convito, e io intendo onorar voi alla persesca, mostrandovi la più cara cosa che io abbia nel mondo o che io debbia aver mai. Ma prima che io faccia questo, vi priego mi diciate quello che sentite d'un dubbio il quale io vi moverò. Egli è alcuna persona la quale ha in casa un suo buono e fedelissimo servidore, il quale inferma gravemente; questo cotale, senza attendere il fine del servo infermo, il fa portare nel mezzo della strada, né più ha cura di lui; viene uno strano, è mosso a compassione dello 'nfermo, e sel reca a casa, e con gran sollicitudine e con ispesa il torna nella prima sanità. Vorrei io ora sapere se, tenendolsi e usando i suoi servigi, il primo signore si può a buona equità dolere o ramaricare del secondo, se egli, raddomandandolo, rendere nol volesse.
I gentili uomini, fra sé avuti vari ragionamenti, e tutti in una sentenzia concorrendo, a Niccoluccio Caccianimico, per ciò che bello e ornato favellatore era, commisero la risposta. Costui, commendata primieramente l'usanza di Persia, disse sé con gli altri insieme essere in questa oppinione, che il primo signore niuna ragione avesse più nel suo servidore, poi che in sì fatto caso non solamente abbandonato, ma gittato l'avea; e che, per li benefici del secondo usati, giustamente parea di lui il servidore divenuto, per che, tenendolo, niuna noia, niuna forza, niuna ingiuria faceva al primiero. Gli altri tutti che alle tavole erano, ché v'avea di valenti uomini, tutti insieme dissono sé tener quello che da Niccoluccio era stato risposto.
Il cavaliere, contento di tal risposta e che Niccoluccio l'avesse fatta, affermò sé essere in quella oppinione altressì, e appresso disse: - Tempo è omai che io secondo la promessa v'onori.- E chiamati due de' suoi famigliari, gli mandò alla donna, la quale egli egregiamente avea fatta vestire e ornare, e mandolla pregando che le dovesse piacere di venire a far lieti i gentili uomini della sua presenzia. La qual, preso in braccio il figliolin suo bellissimo, da' due famigliari accompagnata, nella sala venne, e come al cavalier piacque, appresso ad un valente uomo si pose a sedere; ed egli disse: - Signori, questa è quella cosa che io ho più cara e intendo d'avere, che alcun'altra; guardate se egli vi pare che io abbia ragione.
I gentili uomini, onoratola e commendatola molto, e al cavaliere affermato che cara la doveva avere, la cominciarono a riguardare; e assai ve n'eran che lei avrebbon detto colei chi ella era, se lei per morta non avessero avuta. Ma sopra tutti la riguardava Niccoluccio, il quale, essendosi alquanto partito il cavaliere, sì come colui che ardeva di sapere chi ella fosse, non potendosene tenere, la domandò se bolognese fosse o forestiera. La donna, sentendosi al suo marito domandare, con fatica di risponder si tenne; ma pur, per servare l'ordine postole, tacque. Alcun altro la domandò se suo era quel figlioletto, e alcuno se moglie fosse di messer Gentile, o in altra maniera sua parente; a' quali niuna risposta fece.
Ma, sopravvegnendo messer Gentile, disse alcun de' suoi forestieri: - Messere, bella cosa è questa vostra, ma ella ne par mutola; è ella così?
- Signori,- disse messer Gentile - il non avere ella al presente parlato è non piccolo argomento della sua virtù.
- Diteci adunque voi,- seguitò colui - chi ella è.
Disse il cavaliere: - Questo farò io volentieri, sol che voi mi promettiate, per cosa che io dica, niuno doversi muovere del luogo suo fino a tanto che io non ho la mia novella finita.
Al quale avendol promesso ciascuno, ed essendo già levate le tavole, messer Gentile allato alla donna sedendo, disse: - Signori, questa donna è quel leale e fedel servo, del quale io poco avanti vi fe' la dimanda; la quale da'suoi poco avuta cara, e così come vile e più non utile nel mezzo della strada gittata, da me fu ricolta, e con la mia sollicitudine e opera delle mani la trassi alla morte, e Iddio, alla mia buona affezion riguardando, di corpo spaventevole così bella divenir me l'ha fatta. Ma acciò che voi più apertamente intendiate come questo avvenuto mi sia, brievemente vel farò chiaro -. E cominciatosi dal suo innamorarsi di lei, ciò che avvenuto era infino allora distintamente narrò con gran maraviglia degli ascoltanti, e poi soggiunse: - Per le quali cose, se mutata non avete sentenzia da poco in qua, e Niccoluccio spezialmente, questa donna meritamente è mia, né alcuno con giusto titolo me la può raddomandare.
A questo niun rispose, anzi tutti attendevan quello che egli più avanti dovesse dire. Niccoluccio e degli altri che v'erano e la donna, di compassion lagrimavano; ma messer Gentile, levatosi in piè e preso nelle sue braccia il picciol fanciullino e la donna per la mano, e andato verso Niccoluccio, disse: - Leva su, compare, io non ti rendo tua mogliere, la quale i tuoi parenti e suoi gittarono via; ma io ti voglio donare questa donna mia comare con questo suo figlioletto, il quale io son certo che fu da te generato, e il quale io a battesimo tenni e nomina' lo Gentile; e priegoti che, perch'ella sia nella mia casa vicin di tre mesi stata, che ella non ti sia men cara; ché io ti giuro per quello Iddio, che forse già di lei innamorar mi fece acciò che il mio amore fosse, sì come stato è, cagion della sua salute, che ella mai o col padre o con la madre o con teco più onestamente non visse, che ella appresso di mia madre ha fatto nella mia casa.
E questo detto, si rivolse alla donna e disse: - Madonna, omai da ogni promessa fatami io v'assolvo, e libera vi lascio di Niccoluccio -; e rimessa la donna e 'l fanciul nelle braccia di Niccoluccio, si tornò a sedere.
Niccoluccio disiderosamente ricevette la sua donna e 'l figliuolo, tanto più lieto quanto più n'era di speranza lontano, e, come meglio potè e seppe, ringraziò il cavaliere; e gli altri che tutti di compassion lagrimavano, di questo il commendaron molto, e commendato fu da chiunque l'udì. La donna con maravigliosa festa fu in casa sua ricevuta, e quasi risuscitata con ammirazione fu più tempo guatata da' bolognesi; e messer Gentile sempre amico visse di Niccoluccio e de' suoi parenti e di quei della donna.
Che adunque qui, benigne donne, direte? Estimerete l'aver donato un re lo scettro e la corona, e uno abate senza suo costo aver riconciliato un malfattore al papa, o un vecchio porgere la sua gola al coltello del nimico, essere stato da agguagliare al fatto di messer Gentile? Il quale giovane e ardente, e giusto titolo parendogli avere in ciò che la traccutaggine altrui aveva gittato via ed egli per la sua buona fortuna aveva ricolto, non solo temperò onestamente il suo fuoco, ma liberalmente quello che egli soleva con tutto il pensier disiderare e cercar di rubare, avendolo, restituì. Per certo niuna delle già dette a questa mi par simigliante.
domenica 29 gennaio 2017
mercoledì 18 gennaio 2017
ANALISI del film : "UOMINI CONTRO"
Rispondi
alle
seguenti
domande:
1)La
sceneggiatura
del
film
è
originale
oppure
è
tratta
dalla
letteratura
o
da
qualche
libro,
inchiesta,
saggio,
etc.?
2)Chi
è
il
regista?
3)C’e’
un
personaggio
che
ti
ha
particolarmente
colpito?
se
si,
quale?
4)Ci
sono
espressioni
verbali
e
situazioni
che
ti
hanno
fatto
riflettere?
indica
quali
e
spiega
perche’
5)Sapresti
indicare
brevemente,
secondo
te,
qual
è
il
messaggio
più
significativo
del
film?
6)I
personaggi
del
tenente
Ottolenghi
e
del
tenente
Sassu
sono
particolarmente
significativi:
qual
è
l'atteggiamento
e
quali
sono
i
comportamenti
dei
due
nei
confronti
della
guerra?
qual
è
quello
che
subisce
un'evoluzione
nel
corso
del
film?
7)Spiega
se
e
perché
ti
è
piaciuto
il
film
(o
non
ti
è
piaciuto)
tenendo
conto
del
modo
in
cui
è
stato
realizzato
(interesse
per
la
storia
narrata,
recitazione,
fotografia,
costumi,
musica,
etc.)
Sinossi:
Indicare
l’inizio
(la
situazione
iniziale
e
le
condizioni
che
rendono
possibile
lo
svolgimento
delle
vicende
successive),
lo
svolgimento
(sintesi
delle
vicende
principali
attraverso
le
quali
si
passa
dalla
situazione
iniziale
a
quella
finale)
il
finale
(come
si
concludono
le
vicende).
(max
10 righi)
Indica
per
ognuna
delle
seguenti
tematiche
(presenti
nel
film)
le
sequenze
che,
a
tuo
avviso,
le
rappresentano
in
modo
importante
e/o
particolarmente
significativo
:
a) la crudeltà della guerra di massa, le condizioni dei soldati al fronte, il disprezzo della vita umana da parte dei comandi militari;
b) gli effetti devastanti delle potenti armi impiegate;
c) la discrepanza tra gli ideali militaristi e la propaganda patriottica e la realtà dei combattenti;
d) i diffusi fenomeni di autolesionismo, diserzione, rifiuto d'ordine e ammutinamento che caratterizzarono il comportamento di un gran numero di combattenti;
e) le orribili punizioni per intimidire i reparti, far rispettare la disciplina e mantenere con la forza i soldati al fronte;
f) il serpeggiare tra i soldati di idee rivoluzionarie e pacifiste (vedi ad esempio il personaggio del tenente Ottolenghi).
a) la crudeltà della guerra di massa, le condizioni dei soldati al fronte, il disprezzo della vita umana da parte dei comandi militari;
b) gli effetti devastanti delle potenti armi impiegate;
c) la discrepanza tra gli ideali militaristi e la propaganda patriottica e la realtà dei combattenti;
d) i diffusi fenomeni di autolesionismo, diserzione, rifiuto d'ordine e ammutinamento che caratterizzarono il comportamento di un gran numero di combattenti;
e) le orribili punizioni per intimidire i reparti, far rispettare la disciplina e mantenere con la forza i soldati al fronte;
f) il serpeggiare tra i soldati di idee rivoluzionarie e pacifiste (vedi ad esempio il personaggio del tenente Ottolenghi).
venerdì 6 gennaio 2017
UOMINI CONTRO Regia: Francesco Rosi
SCHEDA DEL FILM
Origine:
Italia/Jugoslavia
anno:1970
durata:
101
minuti
Genere:
guerra
Il
film si rifà alla decimazione subita dalla Brigata Catanzaro per
codardia, in occasione di un presunto episodio di sbandamento in
faccia al nemico accaduto durante l’azione sul Monte Mosciagh
(Altipiano di Asiago) il 26 maggio 1917. I tragici avvenimenti che
culminarono con la fucilazione di 12 militari furono la conseguenza
dello sbandamento in condizioni difficili di quasi tutta la 4a
compagnia del 141°. Il Col. Attilio Thermes, comandante del
reggimento, in ottemperanza alle disposizioni emanate dal Comando
Supremo, ordinò l’esecuzione sommaria senza processo per un
sottotenente, tre sergenti ed otto militari di truppa da estrarre a
sorte nella ragione di uno a dieci
Trama
Tratto
dal
libro
autobiografico
d’Emilio
Lussu
"Un
anno
sull'altipiano",
rievoca
le
vicende
di
un
giovane
ufficiale
italiano
durante
la
Grande
Guerra.
Altopiano
d’Asiago
1916:
i
soldati
del
generale
Leone,
dopo
aver
conquistato
una
cima
strategicamente
indispensabile,
nonostante
le
numerose
perdite,
ricevono
l'ordine
di
abbandonarla.
Poi
l'ordine
cambia
e
gli
uomini
devono
nuovamente
conquistare
la
vetta
a
costo
della
vita.
Soldati
italiani
e
austriaci
si
fronteggiano
nelle
opposte
trincee.
I
fanti
italiani
hanno
l'ordine
di
conquistare
delle
posizioni,
ma
i
continui
assalti
sono
respinti
e
si
risolvono
in
una
carneficina,
come
il
tentativo
di
conquistare
la
cima
di
un
pendio
posto
in
un
punto
strategico
difeso
da
mitragliatrici.
I
soldati
sono
coperti
da
ridicole
corazze
in
metallo,
ma
lo
stratagemma
si
rivela
inutile
e
la
maggior
parte
di
essi
o
muoiono
sotto
i
colpi
del
nemico
o
sotto
quelli
dei
propri
ufficiali,
perché
accusati
di
tradimento
di
fronte
al
rifiuto
dell’ordine
di
attaccare
il
nemico.
Stanchi
di
essere
mandati
allo
sbaraglio
danno
vita
ad
un
ammutinamento,
duramente
represso
con
le
leggi
di
guerra.
Viene
ordinata
la
decimazione
e
alcuni
"colpevoli"
scelti
a
sorte
sono
condannati
a
morte.
Una
sequenza
altamente
drammatica
mostra
le
fasi
dell'esecuzione:
i
disgraziati
vengono
legati
al
palo
per
essere
fucilati
mentre
un
cappellano
stravolto
tenta
inutilmente
di
confortarli.
A
poca
distanza
si
notano
le
bare
già
pronte.
I
momenti
drammatici
si
alternano
a
spunti
comico-grotteschi,
come
quando
l'odiato
generale
Leone,
comandante
del
reparto,
in
giro
d'ispezione,
viene
condotto
a
guardare
le
linee
nemiche
da
un
punto
d’osservazione
ottimo
ma
pericolosissimo
perché
è
tenuto
costantemente
sotto
tiro
dal
miglior
cecchino
austriaco.
Il
generale,
ignaro
del
rischio,
solleva
la
piastra
d'acciaio
che
nasconde
la
feritoia
e
guarda
a
lungo,
ma
non
succede
nulla.
Appena
si
allontana
i
soldati
imprecano
delusi
e
uno
di
essi
fa
la
prova:
apre
lo
spioncino
ed
espone
un
fuscello,
subito
tranciato
da
una
precisa
fucilata.
Terminata
la
fase
di
narrazione
in
trincea,
si
osserva
come
i
soldati
feriti
fossero
mandati
davanti
ad
un
tribunale
di
guerra,
per
dimostrare
se
le
proprie
ferite
erano
derivate
dalla
battaglia
o
se
si
erano
feriti
da
soli
per
evitare
il
combattimento.
Molti
di
essi
erano
giudicati
colpevoli
e
mandati
davanti
alla
corte
marziale
per
poi
finire
in
carcere.
Nel
film
si
osserva
come
la
guerra
fosse
un
fatto
di
classe:
dentro
la
stessa
trincea
c'erano
i
contadini
e
i
borghesi,
e
i
contadini
seguivano
le
vicende
della
guerra
come
se
fosse
una
calamità
naturale.
La
guerra
che
Lussu
descriveva
non
era
una
guerra
di
popolo,
era
una
guerra
con
delle
logiche
di
classe
molto
forti.
Il
generale
Leone
é
un
personaggio
che
crede
ciecamente
nel
potere
e
nel
fatto
di
rappresentarlo,
ed
in
questo
ha
una
sua
grandezza,
perché
è
come
costretto
ad
essere
coerente
in
fondo
con
la
sua
immagine.
Tutti
i
personaggi
finiscono
per
rappresentare
un
certo
livello
di
coscienza
politica:
il
socialista,
il
monarchico,
il
giovane
borghese
interventista.
LA
CRITICA
Lo
scenario
del
primo
conflitto
mondiale,
così
come
ci
è
consegnato
nella
pagina
diaristica
pacata
e
asciutta
d’Emilio
Lussu
(il
quale
scrisse
il
suo
diario
venti
anni
dopo
la
fine
della
guerra
nell'esilio
antifascista
parigino),
consentiva,
intanto,
a
Rosi
di
sottolineare
un'altra
volta,
e
in
questo
caso
con
il
massimo
d’evidenza
possibile,
la
differenza
esistente
fra
la
condizione
di
suddito
e
la
condizione
d’uomo
di
potere.
Di
rado,
quanto
nell'anno
sull'altopiano
(i
fatti
descritti
nel
libro
di
Lussu
e
ripresi,
per
sintesi,
da
Rosi
nel
film
vanno
dal
maggio
del
1916
all'estate
del
'17),
la
divisione
per
classi
nella
società
italiana
fu
tanto
netta,
tanto
evidente
il
formarsi
di
"una
nuova
mentalità
di
rivolta
e
d’insofferenza".
Francesco
Rosi
inoltre
insiste
sulla
spontanea
alleanza
che
durante
la
"Grande
Guerra"
si
formò
tra
soldati
che
spesso
non
sapevano
leggere
e
scrivere,
ed
ufficiali
("letterati"
sono
sia
il
tenente
Sassu
sia
il
tenente
Ottolenghi).
Ma
nel
complesso
Uomini
contro
procede
lungo
il
binario
delle
"scene
forti",
rinunciando
alle
osservazioni
minute
che
erano
uno
dei
punti
di
forza
del
libro
di
Lussu.
Tutto
questo
risulta
alla
fine
un
limite,
anche
rispetto
alla
scarsa
spettacolarità
del
finale
che
appare
sottotono
se
paragonato
al
resto
dell’opera.
I
personaggi
rappresentano
una
precisa
tipologia:
il
generale
Leone
e
il
maggiore
Malchiodi,
la
tronfia
vanagloria
intrisa
d’irresponsabilità
e
incompetenza,
il
sottotenente
socialista
Ottolenghi
la
consapevolezza
politica
della
natura
di
classe
del
conflitto,
che
si
risolve
in
massacro
di
poveri
e
sfruttati,
il
tenente
Sassu
(che
anche
nel
nome
adombra
lo
scrittore
Lussu)
la
bruciante
disillusione
di
tanti
interventisti
che
nel
sangue
e
nel
fango
delle
trincee
divennero
consapevoli
della
folle
inutilità
di
una
guerra
lontana
dagli
ideali
del
Risorgimento
nei
quali
credevano
(e
infatti
muore
in
camicia
bianca
come
un
anacronistico
eroe
ottocentesco),
la
truppa
la
vittima
sacrificale
del
demente
bellicismo
degli
alti
comandi,
estranea
alle
motivazioni
del
conflitto
e
sempre
più
indisponibile
a
farsi
ammazzare.
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