domenica 29 gennaio 2017

Messer Gentil de' Carisendi (DECAMERON, X, 4)

Messer Gentil de' Carisendi, venuto da Modona, trae della sepoltura una donna amata da lui, sepellita per morta, la quale riconfortata partorisce un figliuol maschio, e Messer Gentile lei e 'l figliuolo restituisce a Niccoluccio Caccianimico, marito di lei.

       Maravigliosa cosa parve a tutti che alcuno del propio sangue fosse liberale; e veramente affermaron Natan aver quella del re di Spagna e dello abate di Clignì trapassata. Ma poi che assai e una cosa e altra detta ne fu, il re, verso Lauretta riguardando, le dimostrò che egli desiderava che ella dicesse; per la qual cosa Lauretta prestamente incominciò:
      Giovani donne, magnifiche cose e belle sono state le raccontate, né mi pare che alcuna parte restata sia a noi che abbiamo a dire, per la qual novellando vagar possiamo, sì son tutte dall'altezza delle magnificenzie raccontate occupate, se noi ne' fatti d'amore già non mettessimo mano, li quali ad ogni materia prestano abbondantissima copia di ragionare; e per ciò, sì per questo e sì per quello a che la nostra età principalmente ci dee inducere, una magnificenzia da uno innamorato fatta mi piace di raccontarvi, la quale, ogni cosa considerata, non vi parrà per avventura minore che alcune delle mostrate, se quello è vero che i tesori si donino, le inimicizie si dimentichino, e pongasi la propia vita, l'onore e la fama, ch'è molto più, in mille pericoli, per potere la cosa amata possedere.
      Fu adunque in Bologna, nobilissima città di Lombardia, un cavaliere per virtù e per nobiltà di sangue ragguardevole assai, il qual fu chiamato messer Gentil Carisendi, il qual giovane d'una gentil donna chiamata madonna Catalina, moglie d'un Niccoluccio Caccianimico, s'innamorò; e perché male dello amor della donna era, quasi disperatosene, podestà chiamato di Modona, v'andò. In questo tempo, non essendo Niccoluccio a Bologna, e la donna ad una sua possessione, forse tre miglia alla terra vicina, essendosi, per ciò che gravida era, andata a stare, avvenne che subitamente un fiero accidente la soprapprese, il quale fu tale e di tanta forza, che in lei spense ogni segno di vita, e per ciò eziandio da alcun medico morta giudicata fu; e per ciò che le sue più congiunte parenti dicevan sé avere avuto da lei non essere ancora di tanto tempo gravida, che perfetta potesse essere la creatura, senza altro impaccio darsi, quale ella era, in uno avello d'una chiesa ivi vicina dopo molto pianto la sepellirono.
      La qual cosa subitamente da un suo amico fu significata a messer Gentile, il qual di ciò, ancora che della sua grazia fosse poverissimo, si dolfe molto, ultimamente seco dicendo: - Ecco, madonna Catalina, tu se' morta; io, mentre che vivesti, mai un solo sguardo da te aver non potei; per che, ora che difender non ti potrai, convien per certo che, così morta come tu se' io alcun bacio li tolga.
      E questo detto, essendo già notte, dato ordine come la sua andata occulta fosse, con un suo famigliare montato a cavallo, senza ristare colà pervenne dove sepellita era la donna, e aperta la sepoltura, in quella diligentemente entrò, e postolesi a giacere allato, il suo viso a quello della donna accostò, e più volte con molte lagrime piagnendo il baciò. Ma, sì come noi veggiamo l'appetito degli uomini a niun termine star contento, ma sempre più avanti desiderare, e spezialmente quello degli amanti, avendo costui seco diliberato di più non starvi, disse: - Deh! perché non le tocco io, poi che io son qui, un poco il petto? Io non la debbo mai più toccare, né mai più la toccai.
      Vinto adunque da questo appetito, le mise la mano in seno, e per alquanto spazio tenutalavi, gli parve sentire alcuna cosa battere il cuore a costei. Il quale, poi che ogni paura ebbe cacciata da sé, con più sentimento cercando, trovò costei per certo non esser morta, quantunque poca e debole estimasse la vita; per che soavemente quanto più potè, dal suo famigliare aiutato, del monimento la trasse, e davanti al caval messalasi, segretamente in casa sua la condusse in Bologna.
      Era quivi la madre di lui, valorosa e savia donna, la qual, poscia che dal figliuolo ebbe distesamente ogni cosa udita, da pietà mossa, chetamente con grandissimi fuochi e con alcun bagno in costei rivocò la smarrita vita. La quale come rivenne, così la donna gittò un gran sospiro e disse: - Ohimè! ora ove sono io?
      A cui la valente donna rispose: - Confortati, tu se' in buon luogo.
      Costei, in sé tornata e dintorno guardandosi, non bene conoscendo dove ella fosse e veggendosi davanti messer Gentile, piena di maraviglia la madre di lui pregò che le dicesse in che guisa ella quivi venuta fosse; alla quale messer Gentile ordinatamente contò ogni cosa. Di che ella, dolendosi, dopo alquanto quelle grazie gli rendè che ella potè e appresso il pregò per quello amore il quale egli l'aveva già portato, e per cortesia di lui, che in casa sua ella da lui non ricevesse cosa che fosse meno che onor di lei e del suo marito, e come il dì venuto fosse, alla sua propria casa la lasciasse tornare.
      Alla quale messer Gentile rispose: - Madonna, chente che il mio disiderio si sia stato ne' tempi passati, io non intendo al presente né mai per innanzi (poi che Iddio m'ha questa grazia conceduta che da morte a vita mi v'ha renduta, essendone cagione l'amore che io v'ho per addietro portato) di trattarvi né qui né altrove, se non come cara sorella; ma questo mio beneficio, operato in voi questa notte, merita alcun guiderdone; e per ciò io voglio che voi non mi neghiate una grazia la quale io vi domanderò.
      Al quale la donna benignamente rispose sé essere apparecchiata, solo che ella potesse, e onesta fosse. Messer Gentile allora disse: - Madonna, ciascun vostro parente e ogni bolognese credono e hanno per certo voi esser morta, per che niuna persona è la quale più a casa v'aspetti; e per ciò io voglio di grazia da voi, che vi debbia piacere di dimorarvi tacitamente qui con mia madre infino a tanto che io da Modona torni, che sarà tosto. E la cagione per che io questo vi cheggio è per ciò che io intendo di voi, in presenzia de' migliori cittadini di questa terra, fare un caro e uno solenne dono al vostro marito.
      La donna, conoscendosi al cavaliere obbligata, e che la domanda era onesta, quantunque molto disiderasse di rallegrare della sua vita i suoi parenti, si dispose a far quello che messer Gentile domandava; e così sopra la sua fede gli promise. E appena erano le parole della sua risposta finite, che ella sentì il tempo del partorire esser venuto; per che, teneramente dalla madre di messer Gentile aiutata, non molto stante partorì un bel figliuol maschio; la qual cosa in molti doppi moltiplicò la letizia di messer Gentile e di lei. Messer Gentile ordinò che le cose opportune tutte vi fossero, e che così fosse servita costei come se sua propia moglie fosse, e a Modona segretamente se ne tornò.
      Quivi fornito il tempo del suo uficio e a Bologna dovendosene tornare, ordinò, quella mattina che in Bologna entrar doveva, di molti e gentili uomini di Bologna, tra' quali fu Niccoluccio Caccianimico, un grande e bel convito in casa sua; e tornato e ismontato e con lor trovatosi, avendo similmente la donna ritrovata più bella e più sana che mai, e il suo figlioletto star bene, con allegrezza incomparabile i suoi forestieri mise a tavola, e quegli fece di più vivande magnificamente servire.
      Ed essendo già vicino alla sua fine il mangiare, avendo egli prima alla donna detto quello che di fare intendeva e con lei ordinato il modo che dovesse tenere, così cominciò a parlare: - Signori, io mi ricordo avere alcuna volta inteso in Persia essere, secondo il mio giudicio, una piacevole usanza, la quale è che, quando alcuno vuole sommamente onorare il suo amico, egli lo 'nvita a casa sua e quivi gli mostra quella cosa, o moglie o amica o figliuola o che che si sia, la quale egli ha più cara, affermando che, se egli potesse, così come questo gli mostra, molto più volentieri gli mosterria il cuor suo; la quale io intendo di volere osservare in Bologna.
      Voi, la vostra mercé, avete onorato il mio convito, e io intendo onorar voi alla persesca, mostrandovi la più cara cosa che io abbia nel mondo o che io debbia aver mai. Ma prima che io faccia questo, vi priego mi diciate quello che sentite d'un dubbio il quale io vi moverò. Egli è alcuna persona la quale ha in casa un suo buono e fedelissimo servidore, il quale inferma gravemente; questo cotale, senza attendere il fine del servo infermo, il fa portare nel mezzo della strada, né più ha cura di lui; viene uno strano, è mosso a compassione dello 'nfermo, e sel reca a casa, e con gran sollicitudine e con ispesa il torna nella prima sanità. Vorrei io ora sapere se, tenendolsi e usando i suoi servigi, il primo signore si può a buona equità dolere o ramaricare del secondo, se egli, raddomandandolo, rendere nol volesse.
      I gentili uomini, fra sé avuti vari ragionamenti, e tutti in una sentenzia concorrendo, a Niccoluccio Caccianimico, per ciò che bello e ornato favellatore era, commisero la risposta. Costui, commendata primieramente l'usanza di Persia, disse sé con gli altri insieme essere in questa oppinione, che il primo signore niuna ragione avesse più nel suo servidore, poi che in sì fatto caso non solamente abbandonato, ma gittato l'avea; e che, per li benefici del secondo usati, giustamente parea di lui il servidore divenuto, per che, tenendolo, niuna noia, niuna forza, niuna ingiuria faceva al primiero. Gli altri tutti che alle tavole erano, ché v'avea di valenti uomini, tutti insieme dissono sé tener quello che da Niccoluccio era stato risposto.
      Il cavaliere, contento di tal risposta e che Niccoluccio l'avesse fatta, affermò sé essere in quella oppinione altressì, e appresso disse: - Tempo è omai che io secondo la promessa v'onori.- E chiamati due de' suoi famigliari, gli mandò alla donna, la quale egli egregiamente avea fatta vestire e ornare, e mandolla pregando che le dovesse piacere di venire a far lieti i gentili uomini della sua presenzia. La qual, preso in braccio il figliolin suo bellissimo, da' due famigliari accompagnata, nella sala venne, e come al cavalier piacque, appresso ad un valente uomo si pose a sedere; ed egli disse: - Signori, questa è quella cosa che io ho più cara e intendo d'avere, che alcun'altra; guardate se egli vi pare che io abbia ragione.
      I gentili uomini, onoratola e commendatola molto, e al cavaliere affermato che cara la doveva avere, la cominciarono a riguardare; e assai ve n'eran che lei avrebbon detto colei chi ella era, se lei per morta non avessero avuta. Ma sopra tutti la riguardava Niccoluccio, il quale, essendosi alquanto partito il cavaliere, sì come colui che ardeva di sapere chi ella fosse, non potendosene tenere, la domandò se bolognese fosse o forestiera. La donna, sentendosi al suo marito domandare, con fatica di risponder si tenne; ma pur, per servare l'ordine postole, tacque. Alcun altro la domandò se suo era quel figlioletto, e alcuno se moglie fosse di messer Gentile, o in altra maniera sua parente; a' quali niuna risposta fece.
      Ma, sopravvegnendo messer Gentile, disse alcun de' suoi forestieri: - Messere, bella cosa è questa vostra, ma ella ne par mutola; è ella così?
      - Signori,- disse messer Gentile - il non avere ella al presente parlato è non piccolo argomento della sua virtù.
      - Diteci adunque voi,- seguitò colui - chi ella è.
      Disse il cavaliere: - Questo farò io volentieri, sol che voi mi promettiate, per cosa che io dica, niuno doversi muovere del luogo suo fino a tanto che io non ho la mia novella finita.
      Al quale avendol promesso ciascuno, ed essendo già levate le tavole, messer Gentile allato alla donna sedendo, disse: - Signori, questa donna è quel leale e fedel servo, del quale io poco avanti vi fe' la dimanda; la quale da'suoi poco avuta cara, e così come vile e più non utile nel mezzo della strada gittata, da me fu ricolta, e con la mia sollicitudine e opera delle mani la trassi alla morte, e Iddio, alla mia buona affezion riguardando, di corpo spaventevole così bella divenir me l'ha fatta. Ma acciò che voi più apertamente intendiate come questo avvenuto mi sia, brievemente vel farò chiaro -. E cominciatosi dal suo innamorarsi di lei, ciò che avvenuto era infino allora distintamente narrò con gran maraviglia degli ascoltanti, e poi soggiunse: - Per le quali cose, se mutata non avete sentenzia da poco in qua, e Niccoluccio spezialmente, questa donna meritamente è mia, né alcuno con giusto titolo me la può raddomandare.
      A questo niun rispose, anzi tutti attendevan quello che egli più avanti dovesse dire. Niccoluccio e degli altri che v'erano e la donna, di compassion lagrimavano; ma messer Gentile, levatosi in piè e preso nelle sue braccia il picciol fanciullino e la donna per la mano, e andato verso Niccoluccio, disse: - Leva su, compare, io non ti rendo tua mogliere, la quale i tuoi parenti e suoi gittarono via; ma io ti voglio donare questa donna mia comare con questo suo figlioletto, il quale io son certo che fu da te generato, e il quale io a battesimo tenni e nomina' lo Gentile; e priegoti che, perch'ella sia nella mia casa vicin di tre mesi stata, che ella non ti sia men cara; ché io ti giuro per quello Iddio, che forse già di lei innamorar mi fece acciò che il mio amore fosse, sì come stato è, cagion della sua salute, che ella mai o col padre o con la madre o con teco più onestamente non visse, che ella appresso di mia madre ha fatto nella mia casa.
      E questo detto, si rivolse alla donna e disse: - Madonna, omai da ogni promessa fatami io v'assolvo, e libera vi lascio di Niccoluccio -; e rimessa la donna e 'l fanciul nelle braccia di Niccoluccio, si tornò a sedere.
      Niccoluccio disiderosamente ricevette la sua donna e 'l figliuolo, tanto più lieto quanto più n'era di speranza lontano, e, come meglio potè e seppe, ringraziò il cavaliere; e gli altri che tutti di compassion lagrimavano, di questo il commendaron molto, e commendato fu da chiunque l'udì. La donna con maravigliosa festa fu in casa sua ricevuta, e quasi risuscitata con ammirazione fu più tempo guatata da' bolognesi; e messer Gentile sempre amico visse di Niccoluccio e de' suoi parenti e di quei della donna.
      Che adunque qui, benigne donne, direte? Estimerete l'aver donato un re lo scettro e la corona, e uno abate senza suo costo aver riconciliato un malfattore al papa, o un vecchio porgere la sua gola al coltello del nimico, essere stato da agguagliare al fatto di messer Gentile? Il quale giovane e ardente, e giusto titolo parendogli avere in ciò che la traccutaggine altrui aveva gittato via ed egli per la sua buona fortuna aveva ricolto, non solo temperò onestamente il suo fuoco, ma liberalmente quello che egli soleva con tutto il pensier disiderare e cercar di rubare, avendolo, restituì. Per certo niuna delle già dette a questa mi par simigliante.

mercoledì 18 gennaio 2017

ANALISI del film : "UOMINI CONTRO"


Rispondi alle seguenti domande:
1)La sceneggiatura del film è originale oppure è tratta dalla letteratura o da qualche libro, inchiesta, saggio, etc.?
2)Chi è il regista?
3)Ceun personaggio che ti ha particolarmente colpito? se si, quale?
4)Ci sono espressioni verbali e situazioni che ti hanno fatto riflettere? indica quali e spiega perche
5)Sapresti indicare brevemente, secondo te, qual è il messaggio più significativo del film?
6)I personaggi del tenente Ottolenghi e del tenente Sassu sono particolarmente significativi:
qual è l'atteggiamento e quali sono i comportamenti dei due nei confronti della guerra? qual è quello che subisce un'evoluzione nel corso del film?
7)Spiega se e perché ti è piaciuto il film (o non ti è piaciuto) tenendo conto del modo in cui è stato realizzato (interesse per la storia narrata, recitazione, fotografia, costumi, musica, etc.)

Sinossi:
Indicare linizio (la situazione iniziale e le condizioni che rendono possibile lo svolgimento delle vicende successive),
lo svolgimento (sintesi delle vicende principali attraverso le quali si passa dalla situazione iniziale a quella finale)
il finale (come si concludono le vicende). (max 10 righi)

Indica per ognuna delle seguenti tematiche (presenti nel film) le sequenze che, a tuo avviso, le rappresentano in modo importante e/o particolarmente significativo :
a) la crudeltà della guerra di massa, le condizioni dei soldati al fronte, il disprezzo della vita umana da parte dei comandi militari;
b) gli effetti devastanti delle potenti armi impiegate;
c) la discrepanza tra gli ideali militaristi e la propaganda patriottica e la realtà dei combattenti;
d) i diffusi fenomeni di autolesionismo, diserzione, rifiuto d'ordine e ammutinamento che caratterizzarono il comportamento di un gran numero di combattenti;
e) le orribili punizioni per intimidire i reparti, far rispettare la disciplina e mantenere con la forza i soldati al fronte;
f) il serpeggiare tra i soldati di idee rivoluzionarie e pacifiste (vedi ad esempio il personaggio del tenente Ottolenghi).

venerdì 6 gennaio 2017

UOMINI CONTRO Regia: Francesco Rosi

SCHEDA DEL FILM
Origine: Italia/Jugoslavia 
anno:1970 
durata: 101 minuti 
Genere: guerra

Il film si rifà alla decimazione subita dalla Brigata Catanzaro per codardia, in occasione di un presunto episodio di sbandamento in faccia al nemico accaduto durante l’azione sul Monte Mosciagh (Altipiano di Asiago) il 26 maggio 1917. I tragici avvenimenti che culminarono con la fucilazione di 12 militari furono la conseguenza dello sbandamento in condizioni difficili di quasi tutta la 4a compagnia del 141°. Il Col. Attilio Thermes, comandante del reggimento, in ottemperanza alle disposizioni emanate dal Comando Supremo, ordinò l’esecuzione sommaria senza processo per un sottotenente, tre sergenti ed otto militari di truppa da estrarre a sorte nella ragione di uno a dieci

Trama

Tratto dal libro autobiografico dEmilio Lussu "Un anno sull'altipiano", rievoca le vicende di un giovane ufficiale italiano durante la Grande Guerra.
Altopiano dAsiago 1916: i soldati del generale Leone, dopo aver conquistato una cima strategicamente indispensabile, nonostante le numerose perdite, ricevono l'ordine di abbandonarla. Poi l'ordine cambia e gli uomini devono nuovamente conquistare la vetta a costo della vita.
Soldati italiani e austriaci si fronteggiano nelle opposte trincee. I fanti italiani hanno l'ordine di conquistare delle posizioni, ma i continui assalti sono respinti e si risolvono in una carneficina, come il tentativo di conquistare la cima di un pendio posto in un punto strategico difeso da mitragliatrici. I soldati sono coperti da ridicole corazze in metallo, ma lo stratagemma si rivela inutile e la maggior parte di essi o muoiono sotto i colpi del nemico o sotto quelli dei propri ufficiali, perché accusati di tradimento di fronte al rifiuto dellordine di attaccare il nemico. Stanchi di essere mandati allo sbaraglio danno vita ad un ammutinamento, duramente represso con le leggi di guerra. Viene ordinata la decimazione e alcuni "colpevoli" scelti a sorte sono condannati a morte. Una sequenza altamente drammatica mostra le fasi dell'esecuzione: i disgraziati vengono legati al palo per essere fucilati mentre un cappellano stravolto tenta inutilmente di confortarli. A poca distanza si notano le bare già pronte. I momenti drammatici si alternano a spunti comico-grotteschi, come quando l'odiato generale Leone, comandante del reparto, in giro d'ispezione, viene condotto a guardare le linee nemiche da un punto dosservazione ottimo ma pericolosissimo perché è tenuto costantemente sotto tiro dal miglior cecchino austriaco. Il generale, ignaro del rischio, solleva la piastra d'acciaio che nasconde la feritoia e guarda a lungo, ma non succede nulla. Appena si allontana i soldati imprecano delusi e uno di essi fa la prova: apre lo spioncino ed espone un fuscello, subito tranciato da una precisa fucilata.
Terminata la fase di narrazione in trincea, si osserva come i soldati feriti fossero mandati davanti ad un tribunale di guerra, per dimostrare se le proprie ferite erano derivate dalla battaglia o se si erano feriti da soli per evitare il combattimento. Molti di essi erano giudicati colpevoli e mandati davanti alla corte marziale per poi finire in carcere.
Nel film si osserva come la guerra fosse un fatto di classe: dentro la stessa trincea c'erano i contadini e i borghesi, e i contadini seguivano le vicende della guerra come se fosse una calamità naturale. La guerra che Lussu descriveva non era una guerra di popolo, era una guerra con delle logiche di classe molto forti. Il generale Leone é un personaggio che crede ciecamente nel potere e nel fatto di rappresentarlo, ed in questo ha una sua grandezza, perché è come costretto ad essere coerente in fondo con la sua immagine. Tutti i personaggi finiscono per rappresentare un certo livello di coscienza politica: il socialista, il monarchico, il giovane borghese interventista.

LA CRITICA
Lo scenario del primo conflitto mondiale, così come ci è consegnato nella pagina diaristica pacata e asciutta dEmilio Lussu (il quale scrisse il suo diario venti anni dopo la fine della guerra nell'esilio antifascista parigino), consentiva, intanto, a Rosi di sottolineare un'altra volta, e in questo caso con il massimo devidenza possibile, la differenza esistente fra la condizione di suddito e la condizione duomo di potere. Di rado, quanto nell'anno sull'altopiano (i fatti descritti nel libro di Lussu e ripresi, per sintesi, da Rosi nel film vanno dal maggio del 1916 all'estate del '17), la divisione per classi nella società italiana fu tanto netta, tanto evidente il formarsi di "una nuova mentalità di rivolta e dinsofferenza".
Francesco Rosi inoltre insiste sulla spontanea alleanza che durante la "Grande Guerra" si formò tra soldati che spesso non sapevano leggere e scrivere, ed ufficiali ("letterati" sono sia il tenente Sassu sia il tenente Ottolenghi).
Ma nel complesso Uomini contro procede lungo il binario delle "scene forti", rinunciando alle osservazioni minute che erano uno dei punti di forza del libro di Lussu. Tutto questo risulta alla fine un limite, anche rispetto alla scarsa spettacolarità del finale che appare sottotono se paragonato al resto dellopera.


I personaggi rappresentano una precisa tipologia: il generale Leone e il maggiore Malchiodi, la tronfia vanagloria intrisa dirresponsabilità e incompetenza, il sottotenente socialista Ottolenghi la consapevolezza politica della natura di classe del conflitto, che si risolve in massacro di poveri e sfruttati, il tenente Sassu (che anche nel nome adombra lo scrittore Lussu) la bruciante disillusione di tanti interventisti che nel sangue e nel fango delle trincee divennero consapevoli della folle inutilità di una guerra lontana dagli ideali del Risorgimento nei quali credevano (e infatti muore in camicia bianca come un anacronistico eroe ottocentesco), la truppa la vittima sacrificale del demente bellicismo degli alti comandi, estranea alle motivazioni del conflitto e sempre più indisponibile a farsi ammazzare.