sabato 5 dicembre 2015

LIBERTÀ (G.VERGA - NOVELLE RUSTICANE) ISPIRATA ALLA STRAGE DI BRONTE DEL 1860.

SINTESI
La novella entra subito nel vivo, senza preamboli, con un fazzoletto rosso sventolato dal campanile del paese, le campane che suonano senza sosta e la gente che grida Viva la libertà!. Scuri che scintillano al sole, nell’attesa di abbattersi contro questo e quel signore. La folla non ha freni: ormai è accecata dal sangue che pare la ubriachi come il vino, e la morte sembra arrivare per ognuno dei cappelli. Ognuno ha la sua buona ragione per essere ucciso: i signori tengono i contadini a pochi soldi ed essi muoiono di fame; il prete, che al popolo succhia l’anima ma poi ha l’amante, dunque predica la salvezza dell’anima ma intanto condanna la sua; i poliziotti applicano le leggi solo sui più deboli; il guardaboschi non concede ai contadini neppure la legna per scaldarsi d’inverno; il notaio è un succhiasangue, e deve morire; e suo figlio, travolto dalla folla, prega per non fare la stessa fine del padre, ma ormai morente, un condatino gli dà il colpo di grazia – Sarebbe stato notaio anche lui! Succhiasangue lui pure!-; e ancora il figlio d’una signora, lo speziale, il padrone di una vigna… sedici persone in tutto, così dice la storia, quella vera, a cui è ispirata la novella.
Con l’arrivo della domenica gli animi sembrano placarsi: tuttavia c’è da spartire la terra rimasta senza padroni, e visto che il notaio è ormai morto i contadini sembrano quasi volersi uccidere tra loro, altro che libertà! Nel mentre però arriva il generale,Nino Bixio: le donne lo accolgono in festa, ma non sanno che la giustizia sarà sommaria. Egli infatti fa fucilare alcuni rivoltosi (a caso) al suo arrivo, mentre fa portare altri in città (a Catania) per essere giudicati in tribunale, con le donne piangenti al seguito.
Così al paese arrivano altri signori e i contadini tornano nella miseria. La rivoluzione di Garibaldi aveva dato ai miseri contadini la speranza di un miglioramento, eppure alla fine tutto torna come prima.
Si fa riferimento alle drammatiche vicende dell’agosto 1860, quando i contadini di Bronte, un piccolo paese sulle falde dell’Etna, esasperati per la mancata distribuzione delle terre demaniali promessa da Garibaldi, insorsero contro la parte più reazionaria dei borghesi locali (i cosiddetti “cappelli”) uccidendone una quindicina. Il generale Nino Bixio, inviato da Garibaldi per placare la sommossa, pur trovandola già sedata, fece arrestare centocinquanta persone e, istituito un tribunale militare, ne fece immediatamente processare cinque, in qualità di principali responsabili degli accadimenti. La condanna per fucilazione fu eseguita il giorno dopo.
Le vicende narrate non trovano nel testo verghiano un’esplicita collocazione storica e geografica.
Il tempo/Le sequenze
La novella narra del periodo che va dalla giornata della rivolta alla conclusione del processo di Catania, avvenuta tre anni dopo, che portò alla condanna all’ergastolo di vari brontesi. Nella novella non vengono riportati gli anni in cui avviene la vicenda narrata.
Gli eventi narrati sono disposti in ordine cronologico. In entrambe le opere(novella e film), però, le frasi dei popolani (nella novella spesso filtrate dal discorso indiretto libero del narratore) contengono riferimenti agli antecedenti della rivolta. Vi sono, dei segni che fanno presagire il tragico corso che prenderanno gli eventi: nella novella sono concentrati soltanto nelle poche righe dedicate al lento avanzare delle camicie rosse.
Sono individuabili cinque sequenze narrative, inframmezzate da “a capo” e indicazioni riguardanti il passare del tempo:
nella prima : la sanguinosa rivolta all’apice del suo fulgore che si conclude poco prima del sopraggiungere della notte, nella seconda :descritta la vita del paese il giorno dopo la rivolta (domenica), la terza : lunedì, arriva Bixio e attua la sua violenta repressione, la quarta : arrivo dei giudici, il trasferimento del processo a Catania e la descrizione di quello che accade a Bronte contemporaneamente allo svolgersi del processo e la quinta : conclusione del processo che sancisce la condanna dei rivoltosi.
La prima sequenza, da sola, costituisce la metà dell’intera novella, ed è difatti quella più particolareggiata, mentre la seconda, che liquida la repressione di Bixio in poche righe, è la più breve e sintetica. Questa concisione sembrerebbe sminuire la violenza dell’intervento di Bixio, in proporzione a quella dei popolani, anche se, in definitiva, ci restituisce bene l’atteggiamento sbrigativo del generale.
Altre letture critiche della novella raggruppano le cinque sequenze precedentemente individuate in tre macrosequenze: rivolta – sbandamento e attesa – repressione, altrimenti intese come rottura dell’ordine – incapacità di costruire un ordine nuovo – ristabilimento dell’ordine precedente. Questa suddivisione ci permette di rilevare il pessimismo profondo della novella, che racconta un episodio dove l’uomo si dimostra incapace di sovvertire l’assetto sociale costituito (tema caro all’autore). Il fatto che Verga non specifichi le coordinate spazio-temporali della vicenda sembra significare che questo meccanismo possa verificarsi ovunque, in qualsiasi momento, quasi come fosse una legge naturale. Le ricorrenti similitudini e metafore che paragonano la folla in rivolta ed elementi naturali, contribuisce ad avallare questa lettura.
Lo spazio
Nella novella, così come l’identità del paese non viene chiarita, anche la descrizione dei suoi spazi rimane sul vago. Il paese emerge come una collezione di luoghi e edifici, tipici dei paesi dell’entroterra siciliano, nominati, ma non descritti, né connessi tra loro, che appaiono soltanto quando vengono “toccati” dalla vicenda: la chiesa, la piazza, il casino dei galantuomini, il Municipio, la chiesa, le stradicciuole, la villa della baronessa, il cimitero, il convento. Di alcuni di questi luoghi e edifici ci vengono mostrate anche (in certi casi, soltanto) singole parti, anch’esse nominate ma non connotate e tra loro sconnesse: della chiesa, per esempio, vediamo, in momenti diversi, il campanile, gli scalini e il sagrato.
Intorno al paese sta la campagna, intravista prima tra le case della piazza e, successivamente, attraversata dal corteo degli arrestati, anch’essa descritta per immagini slegate, ma più ampie: “i campi giallastri della pianura”, le lunghe strade, i fichi d’india, le vigne, le “biade color oro”. Più in là ancora, a chiudere il paesaggio, vi sono i fianchi dell’Etna ricoperti di “boschi cupi”.
A separare paese e campagna sta un burrone, a collegarli una stradicciola che scende a precipizio. Tra paese e campagna s’instaura quindi un rapporto alto/basso, che assume particolare importanza durante l’arrivo dei garibaldini, quando la posizione dei popolani, sulla cresta del monte, consentirebbe loro di sconfiggere i soldati che risalgono il burrone.
L’altra contrapposizione spaziale presente nella novella è quella che s’instaura tra paese e città. Quest’ultima si rivela completamente ostile ai popolani: è dominata dal gran carcere dalle celle buie, al quale i parenti dei detenuti faticano ad accedere; non vi si trova lavoro, né di cui cibarsi; anche la locanda più misera è costosa e chi dorme sugli usci della chiesa viene arrestato; una ragazza persino vi si perde.

I personaggi
La novella del Verga si presenta come un racconto “corale”, che non ha come protagonisti singoli individui, ma gruppi. Da una parte il “popolo”, che, durante la rivolta viene caratterizzato attraverso similitudini e metafore tratte dal mondo della natura (la folla come un mare in tempesta o un fiume in piena), dall’altra i “galantuomini”: quelli del paese (nobili, preti, farmacisti, notai, ecc.) e quelli di città (giudici, giurati) e i loro aiutanti (campieri, sbirri, guardaboschi). I singoli che emergono dai gruppi entrano in scena una volta sola e, principalmente, in qualità di membri tipici del gruppo di cui fanno parte. Anche Bixio, che non appartiene a nessuno di questi due gruppi, anche se poi fa gli interessi dei secondi, fa soltanto una fugace apparizione. È da notare poi, come i personaggi rimangano anonimi o abbiamo dei nomi (ma mai dei cognomi) non corrispondenti alla realtà.
Dei popolani, durante la rivolta, vengono riportati gli aspetti più sgradevoli. I “galantuomini” e i loro aiutanti vengono inquadrati attraverso le loro (presunte?) colpe, dal punto di vista dei popolani inferociti; da un certo punto in avanti la violenza subita non trova più un contraltare nelle colpe commesse, perciò emerge un sentimento di pietà nei loro confronti. Critico, infine, è il giudizio sui giudici e gli avvocati difensori, dei quali viene sottolineata la distrazione, la sonnolenza, l’enfasi degli abiti e dei discorsi che cela sterilità.

Tra i protagonisti, Lombardo è il più importante. La sua presenza rompe il manicheismo caratteristico della novella, nella quale infatti non viene nemmeno nominato, dal momento che si tratta d’un “galantuomo” che prende le parti del popolo. Grazie a questa sua “doppia” natura, è l’unico dei personaggi che intrattiene rapporti diretti con tutti gli altri (governatore di Catania, popolani, preti, cappelli, Poulet, Bixio) e svolge spesso il ruolo di mediatore-moderatore tra le parti. Parallelo al dramma del popolo brontese, un secondo dramma, scaturisce proprio dalla dialettica tra la via “riformista” alla conquista della libertà, promossa da Lombardo, e l’onda inarrestabile di violenza guidata dall’intransigente Gasparazzo, il quale s’esprime soltanto con motti e incitazioni urlate. La tensione di questo confronto è ben resa prima dal montaggio alternato tra il massacro dei galantuomini e i tentativi di Lombardo di “far ragionare” il popolo, poi dallo scontro diretto che avviene in piazza, che costituisce la scena centrale del film e sancisce definitivamente il trionfo della violenza.
Di Bixio risalta soprattutto il disprezzo per l’intera popolazione brontese e, per estensione, per quella siciliana: i rivoltosi vengono da lui definiti “canaglia” e Lombardo “capo della canaglia”, i galantuomini “vigliacchi”, Poulet “minchione”, nei paesi in cui ci sono state altre rivolte dice d’aver trovato soltanto “feroce viltà”. Alla base del suo disprezzo sta l’incapacità di comprendere un popolo la cui cultura è troppo distante dalla sua, come svela la frase di commento al dolore delle donne degli arrestati: “Incomprensibili, rozzi, anche nei lamenti e nelle preghiere, sempre!”.
Elementi di stile
Verga punta all’annullamento o meglio all’eclissarsi del narratore quasi come se la realtà potesse raccontarsi da sola.
Verga ottiene questo tramite l’aderenza (la “regressione” ) del narratore al linguaggio, ai pensieri, all’ideologia, alla cultura del mondo che mette in scena, sia attraverso il discorso diretto dei personaggi, sia attraverso il discorso indiretto libero.


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