SINTESI
La
novella entra subito nel vivo, senza preamboli, con un fazzoletto
rosso sventolato dal campanile del paese, le campane che suonano
senza sosta e la gente che grida Viva
la libertà!.
Scuri che scintillano al sole, nell’attesa di abbattersi contro
questo e quel signore.
La folla non ha freni: ormai è accecata dal sangue che pare la
ubriachi come il vino, e la morte sembra arrivare per ognuno dei
cappelli.
Ognuno ha la sua buona ragione per essere ucciso: i signori tengono i
contadini a pochi soldi ed essi muoiono di fame; il prete, che al
popolo succhia
l’anima ma
poi ha l’amante, dunque predica la salvezza dell’anima ma intanto
condanna la sua; i poliziotti applicano le leggi solo sui più
deboli; il guardaboschi non concede ai contadini neppure la legna per
scaldarsi d’inverno; il notaio è un succhiasangue, e deve morire;
e suo figlio, travolto dalla folla, prega per non fare la stessa fine
del padre, ma ormai morente, un condatino gli dà il colpo di grazia
– Sarebbe
stato notaio anche lui! Succhiasangue lui pure!-;
e ancora il figlio d’una signora, lo speziale, il padrone di una
vigna… sedici persone in tutto, così dice la storia, quella vera,
a cui è ispirata la novella.
Con
l’arrivo della domenica gli animi sembrano placarsi: tuttavia c’è
da spartire la terra rimasta senza padroni, e visto che il notaio è
ormai morto i contadini sembrano quasi volersi uccidere tra loro,
altro che libertà! Nel mentre però arriva il
generale,Nino
Bixio:
le donne lo accolgono in festa, ma non sanno che la giustizia sarà
sommaria. Egli infatti fa fucilare alcuni rivoltosi (a caso) al suo
arrivo, mentre fa portare altri in
città (a
Catania) per essere giudicati in tribunale, con le donne piangenti al
seguito.
Così
al paese arrivano altri signori e i contadini tornano nella miseria.
La rivoluzione di Garibaldi aveva dato ai miseri contadini la
speranza di un miglioramento, eppure alla fine tutto torna come
prima.
Si fa riferimento alle drammatiche vicende dell’agosto
1860, quando i contadini di Bronte, un piccolo paese sulle falde
dell’Etna, esasperati per la mancata distribuzione delle terre
demaniali promessa da Garibaldi, insorsero contro la parte più
reazionaria dei borghesi locali (i cosiddetti “cappelli”)
uccidendone una quindicina. Il generale Nino Bixio, inviato da
Garibaldi per placare la sommossa, pur trovandola già sedata, fece
arrestare centocinquanta persone e, istituito un tribunale militare,
ne fece immediatamente processare cinque, in qualità di principali
responsabili degli accadimenti. La condanna per fucilazione fu
eseguita il giorno dopo.
Le vicende narrate non trovano nel testo
verghiano un’esplicita collocazione storica e geografica.
Il
tempo/Le sequenze
La
novella narra del periodo che va dalla giornata della rivolta alla
conclusione del processo di Catania, avvenuta tre anni dopo, che
portò alla condanna all’ergastolo di vari brontesi. Nella novella
non vengono riportati gli anni in cui avviene la vicenda narrata.
Gli
eventi narrati sono disposti in ordine cronologico. In entrambe le
opere(novella e film), però, le frasi dei popolani (nella novella
spesso filtrate dal discorso indiretto libero del narratore)
contengono riferimenti agli antecedenti della rivolta. Vi sono, dei
segni che fanno presagire il tragico corso che prenderanno gli
eventi: nella novella sono concentrati soltanto nelle poche righe
dedicate al lento avanzare delle camicie rosse.
Sono
individuabili cinque sequenze narrative, inframmezzate da “a capo”
e indicazioni riguardanti il passare del tempo: nella
prima :
la sanguinosa rivolta all’apice del suo fulgore che si conclude
poco prima del sopraggiungere della notte, nella
seconda
:descritta la vita del paese il giorno dopo la rivolta (domenica), la
terza
: lunedì, arriva Bixio e attua la sua violenta repressione, la
quarta
: arrivo dei giudici, il trasferimento del processo a Catania e la
descrizione di quello che accade a Bronte contemporaneamente allo
svolgersi del processo e
la quinta
: conclusione del processo che sancisce la condanna dei rivoltosi.
La
prima sequenza, da sola, costituisce la metà dell’intera novella,
ed è difatti quella più particolareggiata, mentre la seconda, che
liquida la repressione di Bixio in poche righe, è la più breve e
sintetica. Questa concisione sembrerebbe sminuire la violenza
dell’intervento di Bixio, in proporzione a quella dei popolani,
anche se, in definitiva, ci restituisce bene l’atteggiamento
sbrigativo del generale.
Altre
letture critiche della novella raggruppano le cinque sequenze
precedentemente individuate in tre macrosequenze: rivolta –
sbandamento e attesa – repressione, altrimenti intese come
rottura dell’ordine – incapacità di costruire un ordine nuovo –
ristabilimento dell’ordine precedente. Questa suddivisione ci
permette di rilevare il pessimismo profondo della novella, che
racconta un episodio dove l’uomo si dimostra incapace di sovvertire
l’assetto sociale costituito (tema caro all’autore). Il fatto che
Verga non specifichi le coordinate spazio-temporali della vicenda
sembra significare che questo meccanismo possa verificarsi ovunque,
in qualsiasi momento, quasi come fosse una legge naturale. Le
ricorrenti similitudini e metafore che paragonano la folla in rivolta
ed elementi naturali, contribuisce ad avallare questa lettura.
Lo
spazio
Nella
novella, così come l’identità del paese non viene chiarita, anche
la descrizione dei suoi spazi rimane sul vago. Il paese emerge come
una collezione di luoghi e edifici, tipici dei paesi dell’entroterra
siciliano, nominati, ma non descritti, né connessi tra loro, che
appaiono soltanto quando vengono “toccati” dalla vicenda: la
chiesa, la piazza, il casino dei galantuomini, il Municipio, la
chiesa, le stradicciuole, la villa della baronessa, il cimitero, il
convento. Di alcuni di questi luoghi e edifici ci vengono mostrate
anche (in certi casi, soltanto) singole parti, anch’esse nominate
ma non connotate e tra loro sconnesse: della chiesa, per esempio,
vediamo, in momenti diversi, il campanile, gli scalini e il
sagrato.
Intorno al paese sta la campagna, intravista prima tra le
case della piazza e, successivamente, attraversata dal corteo degli
arrestati, anch’essa descritta per immagini slegate, ma più ampie:
“i campi giallastri della pianura”, le lunghe strade, i fichi
d’india, le vigne, le “biade color oro”. Più in là ancora, a
chiudere il paesaggio, vi sono i fianchi dell’Etna ricoperti di
“boschi cupi”.
A separare paese e campagna sta un burrone, a
collegarli una stradicciola che scende a precipizio. Tra paese e
campagna s’instaura quindi un rapporto alto/basso, che assume
particolare importanza durante l’arrivo dei garibaldini, quando la
posizione dei popolani, sulla cresta del monte, consentirebbe loro di
sconfiggere i soldati che risalgono il burrone.
L’altra
contrapposizione spaziale presente nella novella è quella che
s’instaura tra paese e città. Quest’ultima si rivela
completamente ostile ai popolani: è dominata dal gran carcere dalle
celle buie, al quale i parenti dei detenuti faticano ad accedere; non
vi si trova lavoro, né di cui cibarsi; anche la locanda più misera
è costosa e chi dorme sugli usci della chiesa viene arrestato; una
ragazza persino vi si perde.
I
personaggi
La
novella del Verga si presenta come un racconto “corale”, che non
ha come protagonisti singoli individui, ma gruppi. Da una parte il
“popolo”, che, durante la rivolta viene caratterizzato attraverso
similitudini e metafore tratte dal mondo della natura (la folla come
un mare in tempesta o un fiume in piena), dall’altra i
“galantuomini”: quelli del paese (nobili, preti, farmacisti,
notai, ecc.) e quelli di città (giudici, giurati) e i loro aiutanti
(campieri, sbirri, guardaboschi). I singoli che emergono dai gruppi
entrano in scena una volta sola e, principalmente, in qualità di
membri tipici del gruppo di cui fanno parte. Anche Bixio, che non
appartiene a nessuno di questi due gruppi, anche se poi fa gli
interessi dei secondi, fa soltanto una fugace apparizione. È da
notare poi, come i personaggi rimangano anonimi o abbiamo dei nomi
(ma mai dei cognomi) non corrispondenti alla realtà.
Dei
popolani, durante la rivolta, vengono riportati gli aspetti più
sgradevoli. I “galantuomini” e i loro aiutanti vengono inquadrati
attraverso le loro (presunte?) colpe, dal punto di vista dei popolani
inferociti; da un certo punto in avanti la violenza subita non trova
più un contraltare nelle colpe commesse, perciò emerge un
sentimento di pietà nei loro confronti. Critico, infine, è il
giudizio sui giudici e gli avvocati difensori, dei quali viene
sottolineata la distrazione, la sonnolenza, l’enfasi degli abiti e
dei discorsi che cela sterilità.
Tra i protagonisti,
Lombardo è il più importante. La sua presenza rompe il manicheismo
caratteristico della novella, nella quale infatti non viene nemmeno
nominato, dal momento che si tratta d’un “galantuomo” che
prende le parti del popolo. Grazie a questa sua “doppia” natura,
è l’unico dei personaggi che intrattiene rapporti diretti con
tutti gli altri (governatore di Catania, popolani, preti, cappelli,
Poulet, Bixio) e svolge spesso il ruolo di mediatore-moderatore tra
le parti. Parallelo al dramma del popolo brontese, un secondo dramma,
scaturisce proprio dalla dialettica tra la via “riformista” alla
conquista della libertà, promossa da Lombardo, e l’onda
inarrestabile di violenza guidata dall’intransigente Gasparazzo, il
quale s’esprime soltanto con motti e incitazioni urlate. La
tensione di questo confronto è ben resa prima dal montaggio
alternato tra il massacro dei galantuomini e i tentativi di Lombardo
di “far ragionare” il popolo, poi dallo scontro diretto che
avviene in piazza, che costituisce la scena centrale del film e
sancisce definitivamente il trionfo della violenza.
Di Bixio
risalta soprattutto il disprezzo per l’intera popolazione brontese
e, per estensione, per quella siciliana: i rivoltosi vengono da lui
definiti “canaglia” e Lombardo “capo della canaglia”, i
galantuomini “vigliacchi”, Poulet “minchione”, nei paesi in
cui ci sono state altre rivolte dice d’aver trovato soltanto
“feroce viltà”. Alla base del suo disprezzo sta l’incapacità
di comprendere un popolo la cui cultura è troppo distante dalla sua,
come svela la frase di commento al dolore delle donne degli
arrestati: “Incomprensibili, rozzi, anche nei lamenti e nelle
preghiere, sempre!”.
Elementi
di stile
Verga
punta all’annullamento o meglio all’eclissarsi del narratore
quasi come se la realtà potesse raccontarsi da sola.
Verga
ottiene questo tramite l’aderenza (la “regressione” ) del
narratore al linguaggio, ai pensieri, all’ideologia, alla cultura
del mondo che mette in scena, sia attraverso il discorso diretto dei
personaggi, sia attraverso il discorso indiretto libero.