venerdì 20 novembre 2015

NEDDA (parte centrale e finale)

Le ragazze del villaggio sparlarono di lei perché andò a lavorare subito il giorno dopo la morte della sua vecchia, e perché non aveva messo il bruno; e il signor curato la sgridò forte, quando la domenica successiva la vide sull'uscio del casolare, mentre si cuciva il grembiule che aveva fatto tingere in nero, unico e povero segno di lutto, e prese argomento da ciò per predicare in chiesa contro il mal uso di non osservare le feste e le domeniche.
La povera fanciulla, per farsi perdonare il suo grosso peccato, andò a lavorare due giorni nel campo del curato, acciò dicesse la messa per la sua morta il primo lunedì del mese; e la domenica, quando le fanciulle, vestite dei loro begli abiti da festa, si tiravano in là sul banco, o ridevano di lei, e i giovanotti, all'uscire di chiesa, le dicevano facezie grossolane, ella si stringeva nella sua mantellina tutta lacera, e affrettava il passo, chinando gli occhi, senza che un pensiero amaro venisse a turbare la serenità della sua preghiera - ovvero diceva a se stessa a mo' di rimprovero che si fosse meritato: - Son così povera! - oppure, guardando le sue due buone braccia: - Benedetto il Signore che me le ha date! - e tirava via sorridendo.
Una sera - aveva spento da poco il lume - udì nella viottola una nota voce che cantava a squarciagola, e con la melanconica cadenza orientale delle canzoni contadinesche: Picca cci voli ca la vaju' a viju. A la mi' amanti di l'arma mia!...
- È Janu! - disse sottovoce, mentre il cuore le balzava dal petto come un uccello spaventato, e cacciò la testa fra le coltri.
E il domani, quando aprì la finestra, vide Janu col suo bel vestito nuovo di fustagno, nelle cui tasche cercavano entrare per forza le sue grosse mani nere e incallite al lavoro, con un bel fazzoletto di seta nuova fiammante che faceva capolino con civetteria dalla scarsella del farsetto, il quale si godeva il bel sole d'aprile appoggiato al muricciolo dell'orto.
- Oh, Janu! - diss'ella, come se non ne sapesse proprio nulla.
Salutamu! - esclamò il giovane col suo più grosso sorriso.
- O che fai qui?
- Torno dalla Piana -.
La fanciulla sorrise, e guardò le lodole che saltellavano ancora sul verde per l'ora mattutina.
- Sei tornato colle lodole.
- Le lodole vanno dove trovano il miglio, ed io dove c'è del pane.
- O come?
- Il padrone m'ha licenziato.
- O perché?
- Perché avevo preso le febbri laggiù, e non potevo più lavorare che tre giorni per settimana.
- Si vede, povero Janu!
- Maledetta Piana! - imprecò Janu stendendo il braccio verso la pianura.
- Sai, la mamma!... - disse Nedda.
- Me l'ha detto lo zio Giovanni -.
Ella non aggiunse altro, e guardò l'orticello al di là del muricciolo. I sassi umidicci fumavano; le gocce di rugiada luccicavano su di ogni filo d'erba; i mandorli fioriti sussurravano lieve lieve e lasciavano cadere sul tettuccio del casolare i loro fiori bianchi e rosei che imbalsamavano l'aria; una passera, petulante e sospettosa nel tempo istesso, schiamazzava sulla gronda, e minacciava a suo modo Janu, che aveva tutta l'aria, col suo viso sospetto, di insidiare al suo nido, del quale spuntavano tra le tegole alcuni fili di paglia indiscreti. La campana della chiesuola chiamava a messa.
- Come fa piacere a sentire la nostra campana! - esclamò Janu.
- Io ho riconosciuto la tua voce stanotte, - disse Nedda facendosi rossa, e zappando con un coccio la terra della pentola che conteneva i suoi fiori.
Egli si volse in là, ed accese la pipa, come deve fare un uomo.
- Addio, vado a messa! - disse bruscamente la Nedda, tirandosi indietro dopo un lungo silenzio.
- Prendi, ti ho portato codesto dalla città - le disse il giovane sciorinando il suo bel fazzoletto di seta.
- Oh! com'è bello! ma questo non fa per me!
- O perché? se non ti costa nulla! - rispose il giovanotto con logica contadinesca.
Ella si fece rossa, come se la grossa spesa le avesse dato idea dei caldi sentimenti del giovane, gli lanciò, sorridente, un'occhiata fra carezzevole e selvaggia, e scappò in casa; e allorché udì i grossi scarponi di lui sui sassi della viottola, fece capolino per accompagnarlo cogli occhi mentre se ne andava.
Alla messa le ragazze del villaggio poterono vedere il bel fazzoletto di Nedda, dove c'erano stampate delle rose che si sarebbero mangiate, e su cui il sole, scintillante dalle invetriate della chiesuola, mandava i suoi raggi più allegri. E quand'ella passò dinanzi a Janu, il quale stava presso il primo cipresso del sacrato, colle spalle al muro e fumando nella sua pipa intagliata, ella sentì gran caldo al viso, e il cuore che le faceva un gran battere in petto, e sgusciò via alla lesta. Il giovane le tenne dietro fischiettando, e la guardava a camminare svelta e senza voltarsi indietro, colla sua veste nuova di fustagno che faceva delle belle pieghe pesanti, le sue brave scarpette, e la sua mantellina fiammante. - La povera formica, or che la mamma stando in paradiso non l'era più a carico, era riuscita a farsi un po' di corredo col suo lavoro. - Fra tutte le miserie del povero c'e anche quella del sollievo che arrecano le perdite più dolorose al cuore!
Nedda sentiva dietro di sè, con gran piacere o gran sgomento (non sapeva davvero che cosa fosse delle due), il passo pesante del giovanotto, e guardava sulla polvere biancastra dello stradale, tutto diritto e inondato di sole, un'altra ombra, la quale di tanto in tanto si distaccava dalla sua. Tutt'a un tratto, quando fu in vista della sua casuccia, senza alcun motivo, si diede a correre come una cerbiatta spaventata. Janu la raggiunse, ella si appoggiò all'uscio, tutta rossa e sorridente, e gli allungò un pugno sul dorso. - To'! -
Egli ripicchiò con galanteria un po' manesca.
- O quanto l'hai pagato il tuo fazzoletto? - domandò Nedda togliendoselo dal capo per sciorinarlo al sole e contemplarlo in aria festosa.
- Cinque lire, - rispose Janu un po' pettoruto.
Ella sorrise senza guardarlo; ripiegò accuratamente il fazzoletto, studiando i segni che avevano lasciato le pieghe, e si mise a canticchiare una canzonetta che non soleva tornarle in bocca da lungo tempo.
La pentola rotta, posta sul davanzale, era ricca di garofani in boccio.
- Che peccato, - disse Nedda, - che non ce ne siano di fioriti! - e spiccò il più grosso bocciolo e glielo diede.
- Che vuoi che ne faccia se non è sbocciato? - diss'egli senza comprenderla, e lo buttò via. Ella si volse in là.
- E adesso dovrai andare a lavorare? - gli domandò dopo qualche secondo.
Egli alzò le spalle: - Dove andrai tu domani!
- A Bongiardo.
- Del lavoro ne troverò; ma bisognerebbe che non tornassero le febbri.
- Bisognerebbe non star fuori la notte a cantare dietro gli usci! - gli diss'ella tutta rossa, dondolandosi sullo stipite dell'uscio con certa aria civettuola.
- Non lo farò più, se tu non vuoi -.
Ella gli diede un buffetto, e scappò dentro.
- Ohé! Janu! - chiamò dalla strada lo zio Giovanni
- Vengo! - gridò Janu; e alla Nedda: - Verrò anch'io a Bongiardo, se mi vogliono.
- Ragazzo mio, - gli disse lo zio Giovanni quando fu sulla strada, - la Nedda non ha più nessuno, e tu sei un bravo giovinotto; ma insieme non ci state proprio bene. Hai inteso?
- Ho inteso, zio Giovanni; ma se Dio vuole, dopo la messe, quando avrò da banda quel po' di quattrini che ci vogliono, insieme ci staremo benissimo -.
Nedda, che aveva udito da dietro il muricciolo, si fece rossa, sebbene nessuno la vedesse.
L'indomani, prima di giorno, quand'ella si affacciò all'uscio per partire, trovò Janu, col suo fagotto infilato al bastone.
- O dove vai? - gli domandò.
- Vengo anch'io a Bongiardo, a cercar lavoro -.
I passerotti, che si erano svegliati alle voci mattutine, cominciarono a pigolare dietro il nido. Janu infilò al suo bastone anche il fagotto di Nedda, e s'avviarono alacremente, mentre il cielo si tingeva all'orizzonte delle prime fiamme del giorno, e il venticello diveniva frizzante.
A Bongiardo c'era proprio del lavoro per chi ne voleva. Il prezzo del vino era salito, e un ricco proprietario faceva dissodare un gran tratto di chiuseda mettere a vigneti. Le chiuse rendevano 1200 lire all'anno in lupini ed olio; messe a vigneto avrebbero dato, fra cinque anni, 12 o 13 mila lire, impiegandovene solo 10 o 12 mila; il taglio degli ulivi avrebbe coperto metà della spesa. Era un'eccellente speculazione, come si vede, e il proprietario pagava, di buon grado, una gran giornata ai contadini che lavoravano al dissodamento, 30 soldi agli uomini, e 20 alle donne, senza minestra; è vero che il lavoro era un po' faticoso, e che ci si rimettevano anche quei pochi cenci che formavano il vestito dei giorni di lavoro; ma Nedda non era abituata a guadagnar 20 soldi tutti i giorni.
Il soprastante s'accorse che Janu, riempiendo i corbelli di sassi, lasciava sempre il più leggiero per Nedda, e minacciò di cacciarlo via. Il povero diavolo, tanto per non perdere il pane, dovette accontentarsi di discendere dai 30 ai 20 soldi.
Il male era che quei poderi quasi incolti mancavano di fattoria, e la notte uomini e donne dovevano dormire alla rinfusa nell'unico casolare senza porta, e sì che le notti erano piuttosto fredde. Janu diceva d'aver sempre caldo, e dava a Nedda la sua casacca di fustagno perché si coprisse per bene. La domenica poi tutta la brigata si metteva in cammino per vie diverse.
Janu e Nedda avevano preso le scorciatoie, e andavano attraverso il castagneto chiacchierando, ridendo, cantando a riprese, e facendo risuonare nelle tasche i grossi soldoni. Il sole era caldo come in giugno; i prati lontani cominciavano ad ingiallire, le ombre degli alberi avevano qualche cosa di festevole, e l'erba che vi cresceva era ancora verde e rugiadosa.
Verso il mezzogiorno sedettero al rezzo, per mangiare il loro pan nero e le loro cipolle bianche. Janu aveva anche del vino, del buon vino di Mascali che regalava a Nedda senza risparmio, e la povera ragazza, la quale non c'era avvezza, si sentiva la lingua grossa, e la testa assai pesante. Di tratto in tratto si guardavano e ridevano senza saper perché.
- Se fossimo marito e moglie si potrebbe tutti i giorni mangiare il pane e bere il vino insieme; - disse Janu con la bocca piena, e Nedda chinò gli occhi, perché egli la guardava in un certo modo.
Regnava il profondo silenzio del meriggio; le più piccole foglie erano immobili; le ombre erano rade; c'era per l'aria una calma, un tepore, un ronzio di insetti che pesava voluttuosamente sulle palpebre. Ad un tratto una corrente d'aria fresca, che veniva dal mare, fece sussurrare le cime più alte de' castagni.
- L'annata sarà buona pel povero e pel ricco, - disse Janu, - e se Dio vuole alla messe un po' di quattrini metterò da banda... e se tu mi volessi bene!... - e le porse il fiasco.
- No, non voglio più bere. - disse ella colle guance tutte rosse.
- O perché ti fai rossa? - diss'egli ridendo.
- Non te lo voglio dire.
- Perché hai bevuto!
- No!
- Perché mi vuoi bene? -
Ella gli diede un pugno sull'omero e si mise a ridere.
Da lontano si udì il raglio di un asino che sentiva l'erba fresca. - Sai perché ragliano gli asini? - domandò Janu.
- Dillo tu che lo sai.
- Sì che lo so; ragliano perché sono innamorati, - disse egli con un riso grossolano, e la guardò fiso.
Ella chinò gli occhi come se ci vedesse delle fiamme, e le sembrò che tutto il vino che aveva bevuto le montasse alla testa, e tutto l'ardore di quel cielo di metallo le penetrasse nelle vene.
- Andiamo via! - esclamò corrucciata, scuotendo la testa pesante.
- Che hai?
- Non lo so, ma andiamo via!
- Mi vuoi bene? -
Nedda chinò il capo.
- Vuoi essere mia moglie? -
Ella lo guardò serenamente, e gli strinse forte la mano callosa nelle sue mani brune, ma si alzò sui ginocchi che le tremavano per andarsene. Egli la trattenne per le vesti, tutto stravolto, e balbettando parole sconnesse, come non sapendo quel che si facesse.
Allorché si udì nella fattoria vicina il gallo che cantava, Nedda balzò in piedi di soprassalto, e si guardò attorno spaurita.
- Andiamo via! Andiamo via! - disse tutta rossa e frettolosa.
Quando fu per svoltare l'angolo della sua casuccia si fermò un momento trepidante, quasi temesse di trovare la sua vecchiarella sull'uscio deserto da sei mesi.
Venne la Pasqua, la gaia festa dei campi coi suoi falò giganteschi, colle sue allegre processioni fra i prati verdeggianti e sotto gli alberi carichi di fiori, colla chiesuola parata a festa, gli usci delle casipole incoronati di festoni, e le ragazze colle belle vesti nuove d'estate. Nedda fu vista allontanarsi piangendo dal confessionario, e non comparve fra le fanciulle inginocchiate dinanzi al coro che aspettavano la comunione. Da quel giorno nessuna ragazza onesta le rivolse più la parola, e quando andava a messa non trovava posto al solito banco, e bisognava che stesse tutto il tempo ginocchioni: - se la vedevano piangere, pensavano a chissà che peccatacci, e le volgevano le spalle inorridite: - e quelle che le davano da lavorare, ne approfittavano per scemarle il prezzo della giornata.
Ella aspettava il suo fidanzato che era andato a mietere alla Piana, raggruzzolare i quattrini che ci volevano a mettere su un po' di casa, e a pagare il signor curato.
Una sera, mentre filava, udì fermarsi all'imboccatura della viottola un carro da buoi, e si vide comparir dinanzi Janu pallido e contraffatto.
- Che hai? - gli disse.
- Son stato ammalato. Le febbri mi ripresero laggiù, in quella maledetta Piana; ho perso più di una settimana di lavoro, ed ho mangiato quei pochi soldi che avevo fatto -.
Ella rientrò in fretta, scucì il pagliericcio, e volle dargli quel piccolo gruzzolo che aveva legato in fondo ad una calza.
- No, - diss'egli. - Domani andrò a Mascalucia per la rimondatura degli ulivi, e non avrò bisogno di nulla. Dopo la rimondatura ci sposeremo -.
Egli aveva l'aria triste facendole questa promessa, e stava appoggiato allo stipite, col fazzoletto avvolto attorno al capo, e guardandola con certi occhi luccicanti.
- Ma tu hai la febbre! - gli disse Nedda.
- Sì, ma ora che son qui mi lascerà; ad ogni modo non mi coglie che ogni tre giorni -.
Ella lo guardava senza parlare, e sentiva stringersi il cuore, vedendolo così pallido e dimagrato. - E potrai reggerti sui rami alti? - gli domandò.
- Dio ci penserà! - rispose Janu. - Addio, non posso far aspettare il carrettiere che mi ha dato un posto sul suo carro dalla Piana sin qui. A rivederci presto! - e non si moveva. Quando finalmente se ne andò, ella lo accompagnò sino alla strada maestra, e lo vide allontanarsi, senza una lagrima, sebbene le sembrasse che stesse a vederlo partire per sempre; il cuore ebbe un'altra strizzatina, come una spugna non spremuta abbastanza - nulla più, ed egli la salutò per nome alla svolta della via.
Tre giorni dopo udì un gran cicaleccio per la strada. Si affacciò al muricciolo, e vide in mezzo ad un crocchio di contadini e di comari Janu disteso su di una scala a piuoli, pallido come un cencio lavato, e colla testa fasciata da un fazzoletto tutto sporco di sangue. Lungo la via dolorosa, prima di giungere al suo casolare, egli, tenendola per mano, le narrò come, trovandosi così debole per le febbri, era caduto da un'alta cima, e s'era concio in quel modo. - Il cuore te lo diceva: - mormorava con un triste sorriso. Ella l'ascoltava coi suoi grand'occhi spalancati, pallida come lui e tenendolo per mano. Il domani egli morì.
Allora Nedda, sentendo muoversi dentro di sé qualcosa che quel morto le lasciava come un triste ricordo, volle correre in chiesa a pregare per lui la Vergine Santa. Sul sacrato incontrò il prete che sapeva la sua vergogna, si nascose il viso nella mantellina e tornò indietro derelitta.
Adesso, quando cercava del lavoro, le ridevano in faccia, non per schernire la ragazza colpevole, ma perché la povera madre non poteva più lavorare come prima. Dopo i primi rifiuti, e le prime risate, ella non osò cercare più oltre, e si chiuse nella sua casipola, al pari di un uccelletto ferito che va a rannicchiarsi nel suo nido. Quei pochi soldi raccolti in fondo alla calza se ne andarono l'un dopo l'altro, e dietro ai soldi la bella veste nuova, e il bel fazzoletto di seta. Lo zio Giovanni la soccorreva per quel poco che poteva, con quella carità indulgente e riparatrice senza la quale la morale del curato è ingiusta e sterile, e le impedì così di morire di fame. Ella diede alla luce una bambina rachitica e stenta; quando le dissero che non era un maschio pianse come aveva pianto la sera in cui aveva chiuso l'uscio del casolare dietro al cataletto che se ne andava, e s'era trovata senza la mamma; ma non volle che la buttassero alla Ruota.
- Povera bambina! Che incominci a soffrire almeno il più tardi che sia possibile! - disse.
Le comari la chiamavano sfacciata, perché non era stata ipocrita, e perché non era snaturata. Alla povera bambina mancava il latte, giacché alla madre scarseggiava il pane. Ella deperì rapidamente, e invano Nedda tentò spremere fra i labbruzzi affamati il sangue del suo seno. Una sera d'inverno, sul tramonto, mentre la neve fioccava sul tetto, e il vento scuoteva l'uscio mal chiuso, la povera bambina, tutta fredda, livida, colle manine contratte, fissò gli occhi vitrei su quelli ardenti della madre, diede un guizzo, e non si mosse più.
Nedda la scosse, se la strinse al seno con impeto selvaggio, tentò di scaldarla coll'alito e coi baci, e quando s'accorse che era proprio morta, la depose sul letto dove aveva dormito sua madre, e le s'inginocchiò davanti, cogli occhi asciutti e spalancati fuor di misura.
- Oh! benedette voi che siete morte! - esclamò. - Oh! benedetta voi, Vergine Santa! che mi avete tolto la mia creatura per non farla soffrire come me! -

Nessun commento:

Posta un commento