Le ragazze del villaggio
sparlarono di lei perché andò a lavorare subito il giorno dopo
la morte della sua vecchia, e perché non aveva messo il bruno; e
il signor curato la sgridò forte, quando la domenica successiva
la vide sull'uscio del casolare, mentre si cuciva il grembiule che
aveva fatto tingere in nero, unico e povero segno di lutto, e
prese argomento da ciò per predicare in chiesa contro il mal uso
di non osservare le feste e le domeniche. |
La povera fanciulla, per farsi
perdonare il suo grosso peccato, andò a lavorare due giorni nel
campo del curato, acciò dicesse la messa per la sua morta il
primo lunedì del mese; e la domenica, quando le fanciulle,
vestite dei loro begli abiti da festa, si tiravano in là sul
banco, o ridevano di lei, e i giovanotti, all'uscire di chiesa, le
dicevano facezie grossolane, ella si stringeva nella sua
mantellina tutta lacera, e affrettava il passo, chinando gli
occhi, senza che un pensiero amaro venisse a turbare la serenità
della sua preghiera - ovvero diceva a se stessa a mo' di
rimprovero che si fosse meritato: - Son così povera! - oppure,
guardando le sue due buone braccia: - Benedetto il Signore che me
le ha date! - e tirava via sorridendo. |
Una sera - aveva spento da poco
il lume - udì nella viottola una nota voce che cantava a
squarciagola, e con la melanconica cadenza orientale delle canzoni
contadinesche: Picca cci voli ca la vaju' a viju. A la mi'
amanti di l'arma mia!... |
- È Janu! - disse sottovoce,
mentre il cuore le balzava dal petto come un uccello spaventato, e
cacciò la testa fra le coltri. |
E il domani, quando aprì la
finestra, vide Janu col suo bel vestito nuovo di fustagno, nelle
cui tasche cercavano entrare per forza le sue grosse mani nere e
incallite al lavoro, con un bel fazzoletto di seta nuova fiammante
che faceva capolino con civetteria dalla scarsella del farsetto,
il quale si godeva il bel sole d'aprile appoggiato al muricciolo
dell'orto. |
- Oh, Janu! - diss'ella, come se
non ne sapesse proprio nulla. |
- Salutamu! -
esclamò il giovane col suo più grosso sorriso. |
- O che fai qui? |
- Torno dalla Piana -. |
La fanciulla sorrise, e guardò
le lodole che saltellavano ancora sul verde per l'ora mattutina. |
- Sei tornato colle lodole. |
- Le lodole vanno dove trovano
il miglio, ed io dove c'è del pane. |
- O come? |
- Il padrone m'ha licenziato. |
- O perché? |
- Perché avevo preso le febbri
laggiù, e non potevo più lavorare che tre giorni per settimana. |
- Si vede, povero Janu! |
- Maledetta Piana! - imprecò
Janu stendendo il braccio verso la pianura. |
- Sai, la mamma!... - disse
Nedda. |
- Me l'ha detto lo zio Giovanni
-. |
Ella non aggiunse altro, e
guardò l'orticello al di là del muricciolo. I sassi umidicci
fumavano; le gocce di rugiada luccicavano su di ogni filo d'erba;
i mandorli fioriti sussurravano lieve lieve e lasciavano cadere
sul tettuccio del casolare i loro fiori bianchi e rosei che
imbalsamavano l'aria; una passera, petulante e sospettosa nel
tempo istesso, schiamazzava sulla gronda, e minacciava a suo modo
Janu, che aveva tutta l'aria, col suo viso sospetto, di insidiare
al suo nido, del quale spuntavano tra le tegole alcuni fili di
paglia indiscreti. La campana della chiesuola chiamava a messa. |
- Come fa piacere a sentire
la nostra campana! - esclamò Janu. |
- Io ho riconosciuto la tua voce
stanotte, - disse Nedda facendosi rossa, e zappando con un coccio
la terra della pentola che conteneva i suoi fiori. |
Egli si volse in là, ed accese
la pipa, come deve fare un uomo. |
- Addio, vado a messa! - disse
bruscamente la Nedda, tirandosi indietro dopo un lungo silenzio. |
- Prendi, ti ho portato codesto
dalla città - le disse il giovane sciorinando il suo bel
fazzoletto di seta. |
- Oh! com'è bello! ma questo
non fa per me! |
- O perché? se non ti costa
nulla! - rispose il giovanotto con logica contadinesca. |
Ella si fece rossa, come se la
grossa spesa le avesse dato idea dei caldi sentimenti del giovane,
gli lanciò, sorridente, un'occhiata fra carezzevole e selvaggia,
e scappò in casa; e allorché udì i grossi scarponi di lui sui
sassi della viottola, fece capolino per accompagnarlo cogli occhi
mentre se ne andava. |
Alla messa le ragazze del
villaggio poterono vedere il bel fazzoletto di Nedda, dove c'erano
stampate delle rose che si sarebbero mangiate, e su
cui il sole, scintillante dalle invetriate della chiesuola,
mandava i suoi raggi più allegri. E quand'ella passò dinanzi a
Janu, il quale stava presso il primo cipresso del sacrato, colle
spalle al muro e fumando nella sua pipa intagliata, ella sentì
gran caldo al viso, e il cuore che le faceva un gran battere in
petto, e sgusciò via alla lesta. Il giovane le tenne dietro
fischiettando, e la guardava a camminare svelta e senza voltarsi
indietro, colla sua veste nuova di fustagno che faceva delle belle
pieghe pesanti, le sue brave scarpette, e la sua mantellina
fiammante. - La povera formica, or che la mamma stando in paradiso
non l'era più a carico, era riuscita a farsi un po' di corredo
col suo lavoro. - Fra tutte le miserie del povero c'e anche quella
del sollievo che arrecano le perdite più dolorose al cuore! |
Nedda sentiva dietro di sè, con
gran piacere o gran sgomento (non sapeva davvero che cosa fosse
delle due), il passo pesante del giovanotto, e guardava sulla
polvere biancastra dello stradale, tutto diritto e inondato di
sole, un'altra ombra, la quale di tanto in tanto si distaccava
dalla sua. Tutt'a un tratto, quando fu in vista della sua
casuccia, senza alcun motivo, si diede a correre come una
cerbiatta spaventata. Janu la raggiunse, ella si appoggiò
all'uscio, tutta rossa e sorridente, e gli allungò un pugno sul
dorso. - To'! - |
Egli ripicchiò con galanteria
un po' manesca. |
- O quanto l'hai pagato il tuo
fazzoletto? - domandò Nedda togliendoselo dal capo per
sciorinarlo al sole e contemplarlo in aria festosa. |
- Cinque lire, - rispose Janu un
po' pettoruto. |
Ella sorrise senza guardarlo;
ripiegò accuratamente il fazzoletto, studiando i segni che
avevano lasciato le pieghe, e si mise a canticchiare una
canzonetta che non soleva tornarle in bocca da lungo tempo. |
La pentola rotta, posta sul
davanzale, era ricca di garofani in boccio. |
- Che peccato, - disse Nedda, -
che non ce ne siano di fioriti! - e spiccò il più grosso
bocciolo e glielo diede. |
- Che vuoi che ne faccia se non
è sbocciato? - diss'egli senza comprenderla, e lo buttò via.
Ella si volse in là. |
- E adesso dovrai andare a
lavorare? - gli domandò dopo qualche secondo. |
Egli alzò le spalle: - Dove
andrai tu domani! |
- A Bongiardo. |
- Del lavoro ne troverò; ma
bisognerebbe che non tornassero le febbri. |
- Bisognerebbe non star fuori la
notte a cantare dietro gli usci! - gli diss'ella tutta rossa,
dondolandosi sullo stipite dell'uscio con certa aria civettuola. |
- Non lo farò più, se tu non
vuoi -. |
Ella gli diede un buffetto, e
scappò dentro. |
- Ohé! Janu! - chiamò dalla
strada lo zio Giovanni |
- Vengo! - gridò Janu; e alla
Nedda: - Verrò anch'io a Bongiardo, se mi vogliono. |
- Ragazzo mio, - gli disse lo
zio Giovanni quando fu sulla strada, - la Nedda non ha più
nessuno, e tu sei un bravo giovinotto; ma insieme non ci state
proprio bene. Hai inteso? |
- Ho inteso, zio Giovanni; ma se
Dio vuole, dopo la messe, quando avrò da banda quel po' di
quattrini che ci vogliono, insieme ci staremo benissimo -. |
Nedda, che aveva udito da dietro
il muricciolo, si fece rossa, sebbene nessuno la vedesse. |
L'indomani, prima di giorno,
quand'ella si affacciò all'uscio per partire, trovò Janu, col
suo fagotto infilato al bastone. |
- O dove vai? - gli domandò. |
- Vengo anch'io a Bongiardo, a
cercar lavoro -. |
I passerotti, che si erano
svegliati alle voci mattutine, cominciarono a pigolare dietro il
nido. Janu infilò al suo bastone anche il fagotto di Nedda, e
s'avviarono alacremente, mentre il cielo si tingeva all'orizzonte
delle prime fiamme del giorno, e il venticello diveniva frizzante. |
A Bongiardo c'era proprio del
lavoro per chi ne voleva. Il prezzo del vino era salito, e un
ricco proprietario faceva dissodare un gran tratto di chiuseda
mettere a vigneti. Le chiuse rendevano 1200 lire
all'anno in lupini ed olio; messe a vigneto avrebbero dato, fra
cinque anni, 12 o 13 mila lire, impiegandovene solo 10 o 12 mila;
il taglio degli ulivi avrebbe coperto metà della spesa. Era
un'eccellente speculazione, come si vede, e il proprietario
pagava, di buon grado, una gran giornata ai contadini che
lavoravano al dissodamento, 30 soldi agli uomini, e 20 alle donne,
senza minestra; è vero che il lavoro era un po' faticoso, e che
ci si rimettevano anche quei pochi cenci che formavano il vestito
dei giorni di lavoro; ma Nedda non era abituata a guadagnar 20
soldi tutti i giorni. |
Il soprastante s'accorse che
Janu, riempiendo i corbelli di sassi, lasciava sempre il più
leggiero per Nedda, e minacciò di cacciarlo via. Il povero
diavolo, tanto per non perdere il pane, dovette accontentarsi di
discendere dai 30 ai 20 soldi. |
Il male era che quei poderi
quasi incolti mancavano di fattoria, e la notte uomini e donne
dovevano dormire alla rinfusa nell'unico casolare senza porta, e
sì che le notti erano piuttosto fredde. Janu diceva d'aver sempre
caldo, e dava a Nedda la sua casacca di fustagno perché si
coprisse per bene. La domenica poi tutta la brigata si metteva in
cammino per vie diverse. |
Janu e Nedda avevano preso le
scorciatoie, e andavano attraverso il castagneto chiacchierando,
ridendo, cantando a riprese, e facendo risuonare nelle tasche i
grossi soldoni. Il sole era caldo come in giugno; i prati lontani
cominciavano ad ingiallire, le ombre degli alberi avevano qualche
cosa di festevole, e l'erba che vi cresceva era ancora verde e
rugiadosa. |
Verso il mezzogiorno sedettero
al rezzo, per mangiare il loro pan nero e le loro cipolle bianche.
Janu aveva anche del vino, del buon vino di Mascali che regalava a
Nedda senza risparmio, e la povera ragazza, la quale non c'era
avvezza, si sentiva la lingua grossa, e la testa assai pesante. Di
tratto in tratto si guardavano e ridevano senza saper perché. |
- Se fossimo marito e moglie si
potrebbe tutti i giorni mangiare il pane e bere il vino insieme; -
disse Janu con la bocca piena, e Nedda chinò gli occhi, perché
egli la guardava in un certo modo. |
Regnava il profondo silenzio del
meriggio; le più piccole foglie erano immobili; le ombre erano
rade; c'era per l'aria una calma, un tepore, un ronzio di insetti
che pesava voluttuosamente sulle palpebre. Ad un tratto una
corrente d'aria fresca, che veniva dal mare, fece sussurrare le
cime più alte de' castagni. |
- L'annata sarà buona pel
povero e pel ricco, - disse Janu, - e se Dio vuole alla messe un
po' di quattrini metterò da banda... e se tu mi volessi bene!...
- e le porse il fiasco. |
- No, non voglio più bere. -
disse ella colle guance tutte rosse. |
- O perché ti fai rossa? -
diss'egli ridendo. |
- Non te lo voglio dire. |
- Perché hai bevuto! |
- No! |
- Perché mi vuoi bene? - |
Ella gli diede un pugno
sull'omero e si mise a ridere. |
Da lontano si udì il raglio di
un asino che sentiva l'erba fresca. - Sai perché ragliano gli
asini? - domandò Janu. |
- Dillo tu che lo sai. |
- Sì che lo so; ragliano perché
sono innamorati, - disse egli con un riso grossolano, e la guardò
fiso. |
Ella chinò gli occhi come se ci
vedesse delle fiamme, e le sembrò che tutto il vino che aveva
bevuto le montasse alla testa, e tutto l'ardore di quel cielo di
metallo le penetrasse nelle vene. |
- Andiamo via! - esclamò
corrucciata, scuotendo la testa pesante. |
- Che hai? |
- Non lo so, ma andiamo via! |
- Mi vuoi bene? - |
Nedda chinò il capo. |
- Vuoi essere mia moglie? - |
Ella lo guardò serenamente, e
gli strinse forte la mano callosa nelle sue mani brune, ma si alzò
sui ginocchi che le tremavano per andarsene. Egli la trattenne per
le vesti, tutto stravolto, e balbettando parole sconnesse, come
non sapendo quel che si facesse. |
Allorché si udì nella fattoria
vicina il gallo che cantava, Nedda balzò in piedi di soprassalto,
e si guardò attorno spaurita. |
- Andiamo via! Andiamo via! -
disse tutta rossa e frettolosa. |
Quando fu per svoltare l'angolo
della sua casuccia si fermò un momento trepidante, quasi temesse
di trovare la sua vecchiarella sull'uscio deserto da sei mesi. |
Venne la Pasqua, la gaia festa
dei campi coi suoi falò giganteschi, colle sue allegre
processioni fra i prati verdeggianti e sotto gli alberi carichi di
fiori, colla chiesuola parata a festa, gli usci delle casipole
incoronati di festoni, e le ragazze colle belle vesti nuove
d'estate. Nedda fu vista allontanarsi piangendo dal
confessionario, e non comparve fra le fanciulle inginocchiate
dinanzi al coro che aspettavano la comunione. Da quel giorno
nessuna ragazza onesta le rivolse più la parola, e quando andava
a messa non trovava posto al solito banco, e bisognava che stesse
tutto il tempo ginocchioni: - se la vedevano piangere, pensavano a
chissà che peccatacci, e le volgevano le spalle inorridite: - e
quelle che le davano da lavorare, ne approfittavano per scemarle
il prezzo della giornata. |
Ella aspettava il suo fidanzato
che era andato a mietere alla Piana, raggruzzolare i quattrini che
ci volevano a mettere su un po' di casa, e a pagare il signor
curato. |
Una sera, mentre filava, udì
fermarsi all'imboccatura della viottola un carro da buoi, e si
vide comparir dinanzi Janu pallido e contraffatto. |
- Che hai? - gli disse. |
- Son stato ammalato. Le febbri
mi ripresero laggiù, in quella maledetta Piana; ho perso più di
una settimana di lavoro, ed ho mangiato quei pochi soldi che avevo
fatto -. |
Ella rientrò in fretta, scucì
il pagliericcio, e volle dargli quel piccolo gruzzolo che aveva
legato in fondo ad una calza. |
- No, - diss'egli. - Domani
andrò a Mascalucia per la rimondatura degli ulivi, e non avrò
bisogno di nulla. Dopo la rimondatura ci sposeremo -. |
Egli aveva l'aria triste
facendole questa promessa, e stava appoggiato allo stipite, col
fazzoletto avvolto attorno al capo, e guardandola con certi occhi
luccicanti. |
- Ma tu hai la febbre! - gli
disse Nedda. |
- Sì, ma ora che son qui mi
lascerà; ad ogni modo non mi coglie che ogni tre giorni -. |
Ella lo guardava senza parlare,
e sentiva stringersi il cuore, vedendolo così pallido e
dimagrato. - E potrai reggerti sui rami alti? - gli domandò. |
- Dio ci penserà! - rispose
Janu. - Addio, non posso far aspettare il carrettiere che mi ha
dato un posto sul suo carro dalla Piana sin qui. A rivederci
presto! - e non si moveva. Quando finalmente se ne andò, ella lo
accompagnò sino alla strada maestra, e lo vide allontanarsi,
senza una lagrima, sebbene le sembrasse che stesse a vederlo
partire per sempre; il cuore ebbe un'altra strizzatina, come una
spugna non spremuta abbastanza - nulla più, ed egli la salutò
per nome alla svolta della via. |
Tre giorni dopo udì un gran
cicaleccio per la strada. Si affacciò al muricciolo, e vide in
mezzo ad un crocchio di contadini e di comari Janu disteso su di
una scala a piuoli, pallido come un cencio lavato, e colla testa
fasciata da un fazzoletto tutto sporco di sangue. Lungo la via
dolorosa, prima di giungere al suo casolare, egli, tenendola per
mano, le narrò come, trovandosi così debole per le febbri, era
caduto da un'alta cima, e s'era concio in quel modo. - Il cuore te
lo diceva: - mormorava con un triste sorriso. Ella l'ascoltava coi
suoi grand'occhi spalancati, pallida come lui e tenendolo per
mano. Il domani egli morì. |
Allora Nedda, sentendo muoversi
dentro di sé qualcosa che quel morto le lasciava come un triste
ricordo, volle correre in chiesa a pregare per lui la Vergine
Santa. Sul sacrato incontrò il prete che sapeva la sua vergogna,
si nascose il viso nella mantellina e tornò indietro derelitta. |
Adesso, quando cercava del
lavoro, le ridevano in faccia, non per schernire la ragazza
colpevole, ma perché la povera madre non poteva più lavorare
come prima. Dopo i primi rifiuti, e le prime risate, ella non osò
cercare più oltre, e si chiuse nella sua casipola, al pari di un
uccelletto ferito che va a rannicchiarsi nel suo nido. Quei pochi
soldi raccolti in fondo alla calza se ne andarono l'un dopo
l'altro, e dietro ai soldi la bella veste nuova, e il bel
fazzoletto di seta. Lo zio Giovanni la soccorreva per quel poco
che poteva, con quella carità indulgente e riparatrice senza la
quale la morale del curato è ingiusta e sterile, e le impedì
così di morire di fame. Ella diede alla luce una bambina
rachitica e stenta; quando le dissero che non era un maschio
pianse come aveva pianto la sera in cui aveva chiuso l'uscio del
casolare dietro al cataletto che se ne andava, e s'era trovata
senza la mamma; ma non volle che la buttassero alla Ruota. |
- Povera bambina! Che incominci
a soffrire almeno il più tardi che sia possibile! - disse. |
Le comari la chiamavano
sfacciata, perché non era stata ipocrita, e perché non era
snaturata. Alla povera bambina mancava il latte, giacché alla
madre scarseggiava il pane. Ella deperì rapidamente, e invano
Nedda tentò spremere fra i labbruzzi affamati il sangue del suo
seno. Una sera d'inverno, sul tramonto, mentre la neve fioccava
sul tetto, e il vento scuoteva l'uscio mal chiuso, la povera
bambina, tutta fredda, livida, colle manine contratte, fissò gli
occhi vitrei su quelli ardenti della madre, diede un guizzo, e non
si mosse più. |
Nedda la scosse, se la strinse
al seno con impeto selvaggio, tentò di scaldarla coll'alito e coi
baci, e quando s'accorse che era proprio morta, la depose sul
letto dove aveva dormito sua madre, e le s'inginocchiò davanti,
cogli occhi asciutti e spalancati fuor di misura. |
- Oh! benedette voi che siete
morte! - esclamò. - Oh! benedetta voi, Vergine Santa! che mi
avete tolto la mia creatura per non farla soffrire come me! - |
venerdì 20 novembre 2015
NEDDA (parte centrale e finale)
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