"IN
MORTE
DI
CARLO
IMBONATI
"
[.....]
Sentir,
riprese,
e
meditar:
di
poco
Esser contento: da la meta mai
Non torcer gli occhi: conservar la mano
Pura e la mente: de le umane cose 210
Tanto sperimentar, quanto ti basti
Per non curarle: non ti far mai servo:
Non far tregua coi vili: il santo Vero
Mai non tradir: né proferir mai verbo,
Che plauda al vizio, o la virtù derida. 215
Esser contento: da la meta mai
Non torcer gli occhi: conservar la mano
Pura e la mente: de le umane cose 210
Tanto sperimentar, quanto ti basti
Per non curarle: non ti far mai servo:
Non far tregua coi vili: il santo Vero
Mai non tradir: né proferir mai verbo,
Che plauda al vizio, o la virtù derida. 215
[.....]
"MARZO
1821"
Alla illustre memoria
di
TEODORO
KŒRNER
poeta
e
soldato
della
indipendenza
germanica
morto
sul
campo
di
lipsia
il
giorno
xviii
d’ottobre
mdcccxiii
nome
caro
a
tutti
i
popoli
che
combattono
per
difendere
o
per
riconquistare
una
patria
[.....]
Han
giurato:
Non
fia
che
quest’onda 5
Scorra più tra due rive straniere:
Non fia loco ove sorgan barriere
Tra l’Italia e l’Italia, mai più!
L’han giurato: altri forti a quel giuro
Rispondean da fraterne contrade, 10
Affilando nell’ombra le spade
Che or levate scintillano al sol.
Già le destre hanno stretto le destre;
Già le sacre parole son porte:
O compagni sul letto di morte, 15
O fratelli su libero suol.
Scorra più tra due rive straniere:
Non fia loco ove sorgan barriere
Tra l’Italia e l’Italia, mai più!
L’han giurato: altri forti a quel giuro
Rispondean da fraterne contrade, 10
Affilando nell’ombra le spade
Che or levate scintillano al sol.
Già le destre hanno stretto le destre;
Già le sacre parole son porte:
O compagni sul letto di morte, 15
O fratelli su libero suol.
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Dalla
STORIA DELLA
COLONNA INFAME
- Introduzione
Ai giudici che, in Milano,
nel 1630, condannarono a supplizi atrocissimi alcuni accusati d'aver
propagata la peste con certi ritrovati sciocchi non men che orribili,
parve d'aver fatto una cosa talmente degna di memoria, che, nella
sentenza medesima, dopo aver decretata, in aggiunta de' supplizi, la
demolizion della casa d'uno di quegli sventurati, decretaron di più,
che in quello spazio s'innalzasse una colonna, la quale dovesse
chiamarsi infame, con un'iscrizione che tramandasse ai posteri la
notizia dell'attentato e della pena. E in ciò non s'ingannarono:
quel giudizio fu veramente memorabile.
[....]
Ma dalla storia, per
quanto possa esser succinta, d'un avvenimento complicato, d'un gran
male fatto senza ragione da uomini a uomini, devono necessariamente
potersi ricavare osservazioni più generali, e d'un'utilità, se non
così immediata, non meno reale. Anzi, a contentarsi di quelle sole
che potevan principalmente servire a quell'intento speciale, c'è
pericolo di formarsi una nozione del fatto, non solo dimezzata, ma
falsa, prendendo per cagioni di esso l'ignoranza de' tempi e la
barbarie della giurisprudenza, e riguardandolo quasi come un
avvenimento fatale e necessario; che sarebbe cavare un errore dannoso
da dove si può avere un utile insegnamento. L'ignoranza in fisica
può produrre degl'inconvenienti, ma non delle iniquità; e una
cattiva istituzione non s'applica da sé. Certo, non era un effetto
necessario del credere all'efficacia dell'unzioni pestifere, il
credere che Guglielmo Piazza e Giangiacomo Mora le avessero messe in
opera; come dell'esser la tortura in vigore non era effetto
necessario che fosse fatta soffrire a tutti gli accusati, né che
tutti quelli a cui si faceva soffrire, fossero sentenziati colpevoli.
Verità che può parere sciocca per troppa evidenza; ma non di rado
le verità troppo evidenti, e che dovrebbero esser sottintese, sono
in vece dimenticate; e dal non dimenticar questa dipende il giudicar
rettamente quell'atroce giudizio. Noi abbiam cercato di metterla in
luce, di far vedere che que' giudici condannaron degl'innocenti, che
essi, con la più ferma persuasione dell'efficacia dell'unzioni, e
con una legislazione che ammetteva la tortura, potevano riconoscere
innocenti; e che anzi, per trovarli colpevoli, per respingere il vero
che ricompariva ogni momento, in mille forme, e da mille parti, con
caratteri chiari allora com'ora, come sempre, dovettero fare continui
sforzi d'ingegno, e ricorrere a espedienti, de' quali non potevano
ignorar l'ingiustizia. Non vogliamo certamente (e sarebbe un tristo
assunto) togliere all'ignoranza e alla tortura la parte loro in
quell'orribile fatto: ne furono, la prima un'occasion deplorabile,
l'altra un mezzo crudele e attivo, quantunque non l'unico certamente,
né il principale. Ma crediamo che importi il distinguerne le vere ed
efficienti cagioni, che furono atti iniqui, prodotti da che, se non
da passioni perverse?
[....]
Dio
solo ha
potuto vedere
se que'
magistrati, trovando
i colpevoli
d'un delitto
che non
c'era, ma
che si
voleva[1],
furon più
complici o
ministri d'una
moltitudine che,
accecata, non
dall'ignoranza, ma
dalla malignità
e dal
furore, violava
con quelle
grida i
precetti più
positivi della
legge divina,
di cui
si vantava
seguace. Ma
la menzogna,
l'abuso del
potere, la
violazion delle
leggi e
delle regole
più note
e ricevute,
l'adoprar doppio
peso e
doppia misura,
son cose
che si
posson riconoscere
anche dagli
uomini negli
atti umani;
e riconosciute,
non si
posson riferire
ad altro
che a
passioni pervertitrici
della volontà;
né, per
ispiegar gli
atti materialmente
iniqui di
quel giudizio,
se ne
potrebbe trovar
di più
naturali e
di men
triste, che
quella rabbia
e quel
timore.
[....]
Noi, proponendo a lettori pazienti di fissar di nuovo
lo sguardo sopra orrori già conosciuti, crediamo che non sarà senza
un nuovo e non ignobile frutto, se lo sdegno e il ribrezzo che non si
può non provarne ogni volta, si rivolgeranno anche, e
principalmente, contro passioni che non si posson bandire, come falsi
sistemi, né abolire, come cattive istituzioni, ma render meno
potenti e meno funeste, col riconoscerle ne' loro effetti, e
detestarle.E non temiamo d'aggiungere che potrà anche esser cosa, in mezzo ai più dolorosi sentimenti, consolante. Se, in un complesso di fatti atroci dell'uomo contro l'uomo, crediam di vedere un effetto de' tempi e delle circostanze, proviamo, insieme con l'orrore e con la compassion medesima, uno scoraggimento, una specie di disperazione. Ci par di vedere la natura umana spinta invincibilmente al male da cagioni indipendenti dal suo arbitrio, e come legata in un sogno perverso e affannoso, da cui non ha mezzo di riscotersi, di cui non può nemmeno accorgersi. Ci pare irragionevole l'indegnazione che nasce in noi spontanea contro gli autori di que' fatti, e che pur nello stesso tempo ci par nobile e santa: rimane l'orrore, e scompare la colpa; e, cercando un colpevole contro cui sdegnarsi a ragione, il pensiero si trova con raccapriccio condotto a esitare tra due bestemmie, che son due deliri: negar la Provvidenza, o accusarla. Ma quando, nel guardar più attentamente a que' fatti, ci si scopre un'ingiustizia che poteva esser veduta da quelli stessi che la commettevano, un trasgredir le regole ammesse anche da loro, dell'azioni opposte ai lumi che non solo c'erano al loro tempo, ma che essi medesimi, in circostanze simili, mostraron d'avere, è un sollievo il pensare che, se non seppero quello che facevano, fu per non volerlo sapere, fu per quell'ignoranza che l'uomo assume e perde a suo piacere, e non è una scusa, ma una colpa; e che di tali fatti si può bensì esser forzatamente vittime, ma non autori.